domenica 30 marzo 2008

Focus on. Chuck Norris: MASSACRO A SAN FRANCISCO


Di William Lowe. Su dvd Elle U.
Warning
: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non ha ancora visto il film.

Dopo una piccola parte -istruttore di karate- in The student teachers, la tappa successiva della carriera di Norris è questa. Purtroppo la copia più facilmente reperibile è penosa: nel giusto formato panoramico sui titoli di testa e sul finale ma per il resto allargata a schermo pieno. Come se non bastasse, ridoppiata in italiano, con voci palesemente molto più recenti di quanto dovrebbero essere e lasciando, nei momenti non dialogati, i rumori -quelli delle mazzate i più rilevati- originari, creando un mix sonoro che aumenta l’aria da telefilm del tutto. Comunque: a due anni da L’urlo di Chen…, Chuck è ancora lontano da come lo si conoscerà nei lavori americani. Ancora nel cast di una produzione hongkonghese -meglio, una coproduzione con gli Usa della prolifica Golden Harvest-, non ancora difensore del “bene” né protagonista, bensì l’antagonista massimo della vicenda. Il film è una cosa vedibile, senza nulla da segnalare a livello di messinscena, ma neppure di scrittura. Un corrivo film di arti marziali su cui si innesta un po’ di blaxploitation, compreso il commento sonoro funkeggiante.
Vediamo un agente “yellow faced” -come recita un aka del titolo- perdere il posto dopo aver esagerato uccidendo un baluba della gang che stava tentando di dare una lezione al suo collega nero -e dai capelli voluminosi molto 70s-. Degradato a fare il cameriere, ha così il suo primo incontro, nel ristorante, col boss interpretato da Norris, che come presentazione gli spegne un sigaro sulla mano. “Quello è uno molto pericoloso”, viene avvertito l’ex agente. Proponendogli di lavorare per lui, Norris glielo fa capire ulteriormente: “Per me ci sono solo due tipi di persone: quelle che obbediscono e quelle che muoiono”. Nel frattempo, i razzisti capitano della polizia e relativo aiutante maltrattano ed incarcerano un innocente signore cinese, per una rapina la cui responsabilità è del boss. Considerato che nella faccenda è stato ucciso il suo collega nero, l’ex agente Wong, col suo maglioncino rosso, continua un’indagine personale, cercando i colpevoli e menando quando può. Ritroviamo Chuck in una scena dimostrativa nella quale si allena open air spezzando con gli arti inferiori tavolette di legno tenute dai suoi scagnozzi. Poi mostra la sua stronzaggine tentando di violentare la donna del fratello nonché figlia del tizio imprigionato. Il fratello, mettendolo di fronte alle sue colpe, si becca le sue mazzate e non è chiaro se resti vivo. Siamo vicini alla resa dei conti. Il tranquillo boss si spoglia, mostrando la sua situazione pilifera non gradevolissima, poi riceve Wong in vestaglia, fumando un sigaro. “Penso che dovrò arrestarti”, gli dice infine l’ex agente (notate niente di strano?). Dopodichè, prima lo lascia picchiarsi con gli scagnozzi, godendosi la scena seduto e mangiando una mela. Wong utilizza una vanga, una delle rare trovate nelle scene d’azione del film. Poi, vedendo che quelli non ce la fanno, Chuck si toglie la vestaglia e provvede personalmente. Dopo essere caduto nella fontana al ralenti, il boss vede l’avversario, per non essere da meno, spogliarsi. In questi minuti si ha quasi una sensazione di deja-vu rispetto alle scene clou del film di Bruce Lee, acuita dal fatto che anche stavolta all’astro nascente del cinema action vada male. Viene, però, portato via ancora vivo -e pronto a nuove avventure-.                                  Alessio Vacchi

Memorabilia. PROFESSOR KRANZ TEDESCO DI GERMANIA



Paolo Villaggio: vita, morte e miracoli si intitola lo spettacolo che l'attore genovese sta per portare in scena a Torino. Ma restando in ambito cinematografico, questa settimana propongo il flano di questo film di Salce, non certo il meglio del regista nè dell'attore, anzi oggi tra le sue pellicole meno note. Nonostante Kranz fosse stato il personaggio che dieci anni prima aveva lanciato l'attore in televisione, rispetto a Fantozzi e Fracchia non ha lasciato il segno al cinema, con buona pace del superamento di successo di cui si parla nel flano. Notare come la sua avventura sia fantozzianamente definita "terrificante".                                   Alessio Vacchi

La youtubata. FURRY HAPPY MONSTERS



In occasione dell'uscita del nuovo album dei REM Accelerate, ecco una versione alternativa di uno dei loro successi, Shiny happy people. Su Youtube si trovano altre apparizioni di noti cantanti al Muppet Show (per esempio, Johnny Cash). Qui il gruppo, assediato dagli irrefrenabili pupazzi, si esibisce in una versione alternativa del brano. Michael Stipe è quello che pare divertirsi di più, ma dirà poi che in questa apparizione sembrava un vecchio.                                  Alessio Vacchi

domenica 23 marzo 2008

Comunicazioni di servizio. PAUSA PASQUALE

Ultimo spettacolo si ferma rispettosamente in occasione della Pasqua: il curatore del blog non è in sede. Appuntamento a domenica prossima per un nuovo scoppiettante aggiornamento.
Alessio Vacchi

domenica 16 marzo 2008

The book runner. LA CONFRATERNITA DELL'UVA



Quanta letteratura di peso nasce da un rapporto contrastato tra un autore e la propria figura paterna? Vengono in mente Franz Kafka, il Giuseppe Berto de Il male oscuro (capolavoro su cui sarebbe il caso di tornare); poi c’è John Fante, scrittore relativamente noto, ma forse meno di quanto meriterebbe. Perché questo americano di genitori italiani era uno scrittore fuoriclasse, riconosciuto come tale solo nei suoi ultimi anni. In ogni caso, ora c’è un Meridiano Mondadori a lui consacrato. Il romanzo in questione, già pubblicato come La confraternita del Chianti, nella corrente edizione Einaudi è preceduto da una prefazione un po’ stucchevole di Vinicio Capossela e da una più utile contestualizzazione dell’opera. Si diceva, il padre: che faccia di cognome Bandini o Molise, a seconda delle due “saghe” portate avanti dall’autore, resta una figura centrale ed incombente per i protagonisti, così come lo è stata per Fante stesso. Henry Molise, scrittore di mezza età, riceve una telefonata da uno dei fratelli: c’è aria di burrasca tra i loro anziani genitori ed è meglio se prende un aereo e si fa vivo. In questo modo, torna nella cittadina dove è cresciuto, San Elmo: il tardivo divorzio si rivelerà un bluff, ma Henry tornerà ad avere a che fare con le premure della madre e soprattutto col padre Nick (stesso nome del vero padre di Fante…). Quest’ultimo è (ed è stato) una persona poco amabile: “Non c’era nessuno che potesse avere a che fare con lui senza litigare”. Donnaiolo, fissato col suo lavoro di costruttore edile nel quale avrebbe voluto coinvolgere anche i figli, giocatore incapace e quindi perdi-soldi e dulcis in fundo praticamente alcoolizzato, coi suoi pochi amici compagni di bevute (da cui il titolo). Ma nonostante l’avversione quasi fisica, Henry sarà come bloccato a San Elmo e “costretto” ad un lavoro con lui.
Nel romanzo, insomma, c’è un autobiografismo strisciante, col quale Fante rende in un certo senso omaggio a questo padre che, nella realtà, se ne era andato ormai da anni. Le figure di questi due genitori sono descritte, nei loro comportamenti e fisse, in modo impagabile, spietato ed insieme affettuoso; anche la repulsione che il protagonista prova per l’anziano manovale non è un sentimento monolitico, infatti si aprirà ad una sorta di accettazione. La scrittura di Fante d’altronde è vivace, ispirata e riesce a rendere bene, per mezzo dell’ironia, le sensazioni di Henry in questa sua dolceamara esperienza, un viaggio con il quale torna agli odori di casa, alla irresistibile cucina italiana della madre, ad avere a che fare con i fratelli e, per l’ultima volta, con l’intrattabilità del padre. La confraternita dell’uva è uno di quei libri leggendo i quali si capisce la stoffa dell’autore, col quale ci si congratula idealmente, e che possono riconciliare col piacere della lettura.                                          Alessio Vacchi

Tra pagina e schermo. THE NIGHT FLIER


Usa 1997. Di Mark Pavia. Con Miguel Ferrer. Su dvd De Agostini, Hbo (regione 1).

La fedeltà ad un testo letterario nella trasposizione in celluloide si rivela particolarmente ardua quando il testo in questione è un raccontino di poche pagine. Subentra per gli sceneggiatori il problema di “allungare il brodo” e nel contempo non smarrire l’incisività che era alla base del successo riscosso sulla pagina scritta. In tal senso possiamo dire che Mark Pavia ha svolto egregiamente il proprio lavoro: il presente film è infatti un piccolo ma grazioso esempio di cinema dell’orrore ben fatto, che riesce a mantenere lo spirito del racconto kinghiano che l’ha ispirato pur sacrificando necessariamente qualcosa alle esigenze produttive. La sceneggiatura smarrisce la continuity che caratterizzava il racconto (il reporter Dees è un personaggio già apparso in un precedente romanzo di King, La zona morta), ma ne mantiene intatte le caratteristiche di fondo. Ferrer è assai convincente nel ruolo del giornalista cinico e disilluso, ridottosi a pubblicare articoli di bassa lega per giornalacci scandalistici; come nel racconto, è un uomo che dietro l’apparente mancanza di scrupoli che il proprio mestiere gli impone si tormenta con interrogativi sull’eticità di manipolare le notizie e far leva sugli istinti più bassi del lettore per vendere. Identica l’idea di mantenere in ombra la figura dell’aviatore-vampiro fino al confronto finale, stesso citazionismo autoironico (il succhiasangue si fa chiamare “Renfield” in omaggio ad uno dei personaggi del Dracula di Bram Stoker, e proviene da Salem’s Lot – ovvero, la città maledetta immortalata nell’omonimo romanzo di King sui nosferatu), stesso sapiente ricorso alla tensione e al gore. Anche il sottofinale, col confronto fra il giornalista e il vampiro nella toilette dell’aereoporto teatro dell’ennesima strage, è reso in maniera fedele e con adeguata capacità di spaventare (bellissima la trovata degli specchi che non riflettono il vampiro intento ad orinare); accentuando se possibile nei dialoghi il parallelismo fra il reporter e il mostro, accomunati dallo stesso bisogno necrofilo di vivere a contatto con la morte violenta (“siamo simili, tu ed io”). Il film prende le distanze dal racconto nella conclusione: se infatti sulla pagina Dees sceglie l’autoconservazione, rinunciando ad indagare ulteriormente sulle scorrerie sanguinarie del non-morto pur di salvare la pelle, nel film sceglie l’autoimmolazione, affrontando le risposte alle sue domande tramite un confronto diretto col mostro e i segreti da esso celati; perché scrutare nell’abisso per Dees significa anche confrontarsi coi propri fantasmi personali, con la tenebra che si porta dentro. E i fantasmi hanno le fattezze degli zombies che hanno fatto la fortuna del cinema horror anni 70/80; larve che rappresentano simbolicamente la putrida essenza di cui sono composte le notizie con cui il protagonista si guadagna da vivere e lo perseguiteranno fino alla sua morte. Morte che non porrà fine alla perversa eredità da lui lasciata e pronta ad essere raccolta da una giovanissima reporter, più ambiziosa e scafata del povero Dees (e forse ignara di votarsi allo stesso oscuro destino del suo predecessore).                                                                      Corrado Artale

Io c'ero. Festival ed eventi vari. PUBBLICITA' CON GIUDIZIO, Torino 22.2-12.3.2008



L’esposizione torinese, che giunge dopo Roma e Milano, è appena terminata (ed è rimasta aperta per un periodo limitato). Ma siccome cercando in rete si trova buona parte del materiale esposto, parliamone brevemente. Pubblicità con giudizio-40 anni di pubblicità vista dal Giurì è una curiosa esposizione con la quale l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria fornisce una serie di esempi della sua attività di vigilante sulla réclame italiana, che sia televisiva, murale o su giornali. Questo attraverso sei sezioni, riguardanti la mercificazione del corpo femminile, la slealtà dei messaggi, la violenza eccessiva delle immagini, l’elogio di bevande alcooliche, eventuali offese a morale/religione e messaggi “dannosi” rivolti ai bambini. Ogni tappa propone sei esempi di messaggi pubblicitari cartacei, che per far ben comprendere le ragioni dell’operato del Giurì sono intelligentemente accompagnati dalle motivazioni pro e contro il dato messaggio e dal verdetto finale. Dopodichè, uno schermo propone a rotazione alcuni esempi di spot televisivi per ciascuna delle sezioni: colpisce quello con Anna Falchi, che per “For men” si presta ad un messaggio di un maschilismo che lascia increduli. Il tutto è vedibile in tre quarti d’ora circa, e qui sta uno dei limiti: la mostra si fruisce in fretta e si vorrebbe vedere altro, perlmeno quanto ad affissi. Poi, nonostante il sottotitolo dell’esposizione (l’IAP esiste dal 1966), gli anni effettivi sono ben meno di quaranta: la pubblicità meno recente è del 1974 e ci si concentra sugli ultimissimi decenni, il che se da un lato stimola il ricordo di chi ha più o meno l’età di chi scrive, rende però meno “compiuto” il tutto. In ogni caso, benvenga un’iniziativa che dice qualcosa ed invita alla riflessione su quella forma di creativa propaganda, a cui è difficilissimo sottrarsi, che è la pubblicità. Ne è stato pubblicato il catalogo per le edizioni Mazzotta.                                                Alessio Vacchi

La youtubata. SPOT AIMA



Per rimanere in tema pubblicitario. Nel 2002 Giuseppe Tornatore gira questo spot per l'Associazione Italiana Malati d'Alzheimer. Il suo lavoro viene censurato dalle reti televisive, per ovvi motivi comprensibili vedendo il filmato. Ma è subito disponibile in rete. Per l'ennesima volta il web "scavalca" la televisione e rivela l'ipocrisia di certe decisioni.                                                       Alessio Vacchi

domenica 9 marzo 2008

Incompresi. Comici allo sbaraglio: TROPPO SOLE


Italia 1994. Di Giuseppe Bertolucci.

Se Viva Zapatero! è l’exploit al cinema di Sabina Guzzanti, Troppo sole (bel titolo a doppio senso) è la zona d’ombra nella sua carriera, non tanto per il risultato artistico ma per la ricettività nulla del pubblico, che l’ha reso un tassello della sua attività sconosciuto ai più (sebbene anche Bimba, 2001, non abbia certo sfondato). Diretta da un regista di un certo nome, che aveva già avuto a che fare con Benigni e Paolo Rossi, la Guzzanti -anche sceneggiatrice con David Riondino- è qui protagonista assoluta di un film in cui interpreta quattordici personaggi. Quello che fa da filo conduttore è una rossa giornalista che cerca la cantante di successo Matilde, perché incaricata di fare su di essa un servizio speciale. Più o meno alla pari di Matilde come peso in scena sta il personaggio di Stella, altra cantante il cui successo manda in crisi la rivale. Intorno a queste tre figure, la Guzzanti impersona altre bizzarre creature, quali una dj, una shampoo-terapista, una bambina posseduta dal demonio in stile L’esorcista, una suora, la sorella tossicodipendente di Matilde e, caratterizzazione più riuscita, la loro madre, una grossa signora nervosa e sbraitante. Al termine fa capolino anche Luana, l’imitazione di Moana Pozzi, già scomparsa quando il film è stato distribuito. Ma non ci si aspetti un tranquillo film comico dal lineare sviluppo narrativo.
La pellicola si sviluppa in piccole scene-show con l’attrice, qualche volta sdoppiata nella stessa inquadratura, che domina incontrastata tutto il film -sono pochissime le presenze umane che non siano lei-. L’effetto è volutamente sgradevole e straniante, una galleria di personaggi grotteschi che punta più a dare modo alla Guzzanti di mostrare il suo estro rispetto al suscitare il riso, che infatti sorge di rado. Se ne può apprezzare l’originalità dovuta al non cercare di arruffianare il pubblico -le gag vere e proprie sono poche e c’è anche del sangue-, anche se risulta un po’ pesante, la provocazione nasce e muore col film e l’occhio alla lunga va all’orologio. Il personaggio della giornalista sembra quello un filo più “normale”, ma al contempo quello di Matilde, nonostante le bizze insopportabili da artista complessata, non è il più strano. Le due cantanti danno vita separatamente ad alcuni momenti musicali. Alcuni brani sono firmati da Corrado Guzzanti e nell’esibizione di Stella lei si mostra praticamente a seno nudo; da segnalare poi una parodizzazione di Edith Piaf. Se vi sembra strano che la giornalista dica di star girando uno “special” ma non si veda nessuno con una videocamera in mano a riprendere, sappiate che i conti tornano in un colpo di scena finale. Il film è da consigliare più che altro a coloro che stimano l’attrice, i quali potranno ammirarla in una prova di trasformismo al cubo: ma è un oggetto da prendere con cautela ed a vederselo in compagnia per una allegra serata si potrebbe rimanere delusi.                              Alessio Vacchi

The freak show. MADMAN



Il 1981 conferma la nascita di un nuovo sottogenere dell’horror, lo slasher movie, generato dal successo di Venerdì 13 (che a sua volta aveva in Halloween di John Carpenter il proprio modello): nello stesso anno vengono sfornate almeno una ventina di pellicole che ripetono suppergiù la formula della creatura di Sean S. Cunningham, tra cui lo stesso seguito della saga di Crystal Lake (inspiegabilmente uscito da noi come L’Assassino Ti Siede Accanto), The Prowler, “The Burning” ed infine Madman, il film di cui andiamo a parlare.
Girato nello stato di New York da Joe Giannone (il quale, stando all’IMDB, non metterà mai più mano alla cinepresa fino alla morte nel 2006), la pellicola racconta dell’ennesimo campeggio per ragazzini dove, in seguito ad uno scherzo, viene evocata la letale presenza di “Madman Marz”, un irsuto fattore a cui anni addietro girò il boccino e poscia massacrò moglie e figli a colpi di scure per essere infine giustiziato dai compaesani inferociti. Né più, né meno.
A scanso di equivoci, chiarisco subito: Madman è uno dei migliori sottoprodotti del decalogo di Jason Voorhees, avente dalla sua una certa originalità (nonostante la natura derivativa) ed una buona confezione. Il film è infatti permeato da un’ intrigante atmosfera fiabesca, a cui contribuiscono considerevolmente la stazza da orco del cattivo Paul Ehlers (oggigiorno designer di stravanti lame e coltelli) e la fotografia dai colori intensi ad opera di James Lemmo (già collaboratore di Ferrara in The Driller Killer e L’Angelo della Vendetta e che poi andrà ad illuminare i primi due Maniac Cop di William Lustig). Il cast è formato interamente da sconosciuti che non brillano per nessun talento particolare. L’unico volto noto è quello della protagonista femminile, Alexis Dubin, pseudonomino sotto cui misteriosamente si nasconde la Gaylen Ross dell’immortale Zombi di George A. Romero (e che qui assomiglia un sacco alla Shelley Duvall di Shining, ma questo c’entra poco). La sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, è il classico canovaccio che annovera parecchi degli elementi di rito del neonato genere, comprese le immancabili battutine insulse buttate lì in attesa che qualcuno venga falciato dal mostro.
Giannone di suo dirige con mano ferma ed un buon occhio per gli spazi, portando a termine in maniera diligente il proprio compito, non senza alcune belle intuizioni. La maggior parte degli omicidi è sufficientemente gocciolante, anche se le uccisioni sono spesso risolte più tramite l’ingegno e l’inventiva che non grazie ai prodigi di lattice che proprio in quegli anni stavano iniziando a farsi largo sugli schermi. Spassosa la decapitazione tramite cofano dell’immancabile auto che non ne vuole sapere di partire. Gli effetti sonori elettronici conferiscono poi al tutto un discreto fascino vintage. De segnalare anche la simpatica marcetta che funge da main theme. Inedito in Italia, per qualche anno è stato disponibile in una bella edizione DVD della Anchor Bay, ora purtroppo fuori catalogo. Chi non lo possedesse, preghi in una ristampa: ne vale la pena.  
                                                                   Emiliano Ranzani

La youtubata. TROPPO SOLE



Se già il film è poco visto, figuriamoci chi si ricorda questa esibizione canora dell’accoppiata Riondino-Guzzanti, che portarono al nostro festival nazionalpopolare, ovviamente condotto da Pippo Baudo, una (mediocre) canzone che porta lo stesso titolo del “loro” film, anche se non presenta altri punti di contatto con esso. Una colorata esibizione politicamente di sinistra: notare infatti la reazione iniziale del pubblico e di Baudo. Per altre info si vada a metà della pagina http://www.hitparadeitalia.it/sanremo/commenti/sanremo15.htm.                            Alessio Vacchi

domenica 2 marzo 2008

Comunicazioni di servizio. PERCHE' SANREMO E' SANREMO?


E’ la sera di sabato 1° marzo. Invece che uscire, decido di sacrificarmi per donare un pezzo al mio blog e mi sintonizzo su Raiuno (e nel contempo su Rai dire Sanremo, Radiodue) per seguire la serata finale di Sanremo 2008 e farne una cronaca sommaria. Il muffo carrozzone musicale esercita su di me un qualche fascino perverso; d’altronde, ci sono anche quelli che amano gironzolare nei cimiteri. Comunque:
21.17 Baudo fa il suo ingresso affiancato dalle due ragazze. Chiama la Osvart “Orvart”, con convinzione, e minaccia: “Sarà lunga la serata, eh!”. Mortacci.
21.21 Chiambretti in collegamento presenta il barbutissimo giornalista Zaccagnini, che ci comunica la sua speranza: “Io vorrei che vincesse il cameriere” (sic).
21.30 Viene presentata la giuria di qualità (??). Però: Mughini, una Gloria Guida per cui il tempo sembra essersi quasi fermato, Boncompagni, Magalli, Frizzi, Emilio Fede... Tutti esperti di musica immagino.
21.36 Il primo ad esibirsi è Paolo Meneguzzi. Che bel giovane, si presenta bene. Peccato la canzone, ma non si può avere tutto.
21.50 Dopo Grignani entra Little Tony. L’età si sta pericolosamente alzando. Con tutto il rispetto per l’artista che ci ha regalato nei 60s meravigliosi film musicarelli, cantare a 67 anni “Sono solo a metà del mio viaggio…” è un po’ troppo.
22.18. Anna Tatangelo. Come avere 21 anni e dimostrarne dieci di più, truccandosi inutilmente da “donna”. Pezzo ovviamente mediocre, a cui Emilio Fede, forse credendo di essere a Miss Italia, assegna un bel 10. Giuria di qualità, eh.
22.30 Verdone e la Gerini promuovono il nuovo film. La scenetta è così così, la scena mostrata del film pure, ma lui alla batteria e lei che canta sono sicuramente il miglior momento musicale finora.
22.41 Amedeo Minghi. Accelera le parole con effetto buffo. Vedo degli 1, che i giurati siano rinsaviti? No, sono dei 7.
22.56 Giò di Tonno e Lola Ponce. Gran scena sul palco, canto ampio. Lui sembra tutto contento di cantare vicino ad una figa simile, tantopiù quando alla fine la tiene stretta. E’ il momento più erotico della serata, per chi si accontenta ovviamente. Segue piccola polemica: sembra Amici.
23.25 Zampaglione. Al di là delle polemiche Il rubacuori mi sembra una delle canzoni migliori del festival, con un contrasto tra "cosa" e "come" che dà qualche brivido ed un testo serio e diretto. Cantata di fronte al pubblico di mummie dell’Ariston, poi, sembra surreale.
23.31 Pippo Baudo fa una telepromozione per l’acqua San Benedetto, tradendo la sua marca di fiducia, la Sant’Anna. Uno sgarro grave.
23.34 Frankie Hi-Nrg. Brano accettabile, anche se ha fatto di meglio. Rivoluzione sul palco dell’Ariston non può passare impunita: si becca una paternale da Mughini, e sembra di essere a Controcampo. Poi, momento massimo della serata: anche Emilio Fede lo rimprovera, dicendogli che gli dà 8 solo per non passare per un vecchione e insegnandogli, dall’alto della sua esperienza militante, che “la rivoluzione si fa nelle piccole cose” (giuro su Dio).
23.42 Con Vianello e la Mondaini tristemente invecchiati si raggiunge il picco massimo di senilità della serata. Purtroppo Sandra non rievoca il suo film Sbirulino, né vengono fatte sentire le belle canzoni del noto pagliaccio.
23.56. I Finley. La canzone è insignificante, che strano…
0.07 Lucilla Agosti, pure lei un po’ imbalsamata nel trucco, viene toccata compiaciutamente da Baudo ed introduce Elio e le Storie Tese che, truccati-imparruccati, si esibiscono in Largo al
factotum
. Performance notevole, musicalmente il meglio della serata e la più emozionante (dedica a Feiez compresa): infatti, è slegata dalla gara.
0.33. Sergio Cammariere. A fine brano Baudo lo ringrazia, parlandogli a 1 cm dalla faccia, del suo “pianismo”.
0.44 Eugenio Bennato. Non adoro la taranta, però la canzone funziona ed è una boccata d’aria tra le esibizioni in gara.
0.51. Tricarico, prima della sua performance sgraziata e sofferta ma se non altro viva, pronuncia un bello "stronzo" rivolto a Chiambretti dietro di lui.
0.59. Baudo e Chiambretti sul palco con un cannone. Faranno fuoco sul pubblico? No, purtroppo sparano solo dei petali.
1.10 Si iniziano a proclamare i vincitori, collegandosi con un signore seduto su sgabello. Legge la classifica dall’ultimo al primo, suspance!
1.18. Anna Tatangelo, seconda, non riesce a tenersi e ringrazia il suo Gigi D’Alessio, che le ha scritto pure il brano. “Gigi ti amo!”. Il pubblico non sembra prenderla bene.
1.22. Lola Ponce, co-vincitrice, ringrazia Pippone Baudo: “instancabile, continua a fare tanto per la musica”. L’ha scambiato per qualcun altro?
Il terzetto vincitore è una scelta prevedibile e basata (eventuali brogli a parte) sulla personalità dei cantanti, non certo sulla qualità, bassa, dei brani. Non ho voglia di rivedere esibirsi i vincitori e vado a letto con una domanda: perché Sanremo è Sanremo?                                               Alessio Vacchi

Focus on. Chuck Norris: L'URLO DI CHEN TERRORIZZA ANCHE L'OCCIDENTE


Tit.eng. Return of the dragon. Hong Kong 1972. Di Bruce Lee. Su dvd Storm.

L’ingresso al cinema di Chuck Norris, escludendo un ruolino non accreditato, avviene sotto il segno di un padrino d’eccezione: Bruce Lee conosceva personalmente l’atleta americano e lo volle in questo film. Quello di Norris è il secondo nome sui titoli di testa, seguito dalla dicitura “7 volte campione mondiale di karatè” (ma non è il solo accompagnato da una qualifica), nonostante l’attore compaia solo nell’ultima mezz’ora del film. Il soggetto è presto detto: Lee giunge a Roma, da Hong Kong, per aiutare alcuni compatrioti nella gestione di un ristorante minacciato da un’organizzazione che vuole il locale e manda spesso dei suoi buzzurri a provocare. La sua abilità nel kung fu si rivela un problema per la banda, tanto che al capo degli scagnozzi (un individuo mellifluo ed effeminato) viene in mente di chiamare dei campioni che possano sistemare il giovane. Meglio, “il campione di tutta l’America”.
Insomma: Chuck è considerato l’unico degno di poter sfidare Bruce Lee. Camicia con una fantasia vistosa, occhiali da sole, situazione pilifera del volto differente da come si proporrà in seguito (v.foto), si affaccia dall’aereo e la mdp zooma sul suo volto. Nella scena successiva, l’attore camminando si avvicina alla camera, fino a raggiungerla ad altezza pacco! Dà una prima dimostrazione della sua abilità picchiandosi con uno degli altri due atleti in lizza per lo scontro con Lee, che ha mostrato scetticismo sulle sue possibilità. Poi si giunge al climax del film: i cui momenti d’azione costituiscono un crescendo, per interesse e durata. Da una lezioncina di Lee ai rompiballe, a una scena un po’ più articolata ed attiva dal punto di vista dei nemici, per culminare nel noto duello “tra oriente ed occidente”, per così dire, all’interno del Colosseo, nello splendore del formato panoramico (un po’ sacrificato nei passaggi tv). Altro che Jumper, la cui produzione si è dichiarata contenta di aver potuto girare all’interno del monumento romano: diamo a Cesare…anzi, a Chuck quel che è di Chuck. Norris lo aspetta, in piedi su un’apertura, col vestito bianco, e gli mostra il pollice verso. Lee non si fa intimidire, lo raggiunge; i due si denudano, l’orientale mostrando ancora i suoi muscoli molto asciutti, Norris invece esibendo un florilegio di peli su petto, ventre ed anche nuca. Si sgranchiscono per conto proprio… La regia cerca, insomma, di creare un clima d’attesa, mentre il montaggio inserisce più volte inquadrature di un gattino lì presente: un suo miagolio sancisce l’inizio del combattimento e più avanti, in mezzo alle zoomate su Lee e Norris ai colpi finali, troviamo movimenti analoghi sull’animaletto!
Norris si impegna e roteando le zampe schiva più volte il rivale, ma alla lunga si indebolisce e non è difficile immaginare chi esca vincitore dall’incontro. Da segnalare Lee che si aggrappa ai peli del petto dell’altro, strappandone un pugno. In definitiva, per Norris l’esordio e la “gita” nel nostro paese si risolvono a metà tra l’onore -di combattere con un’icona- e la sconfitta -la sua sequenza chiave finisce male-. Ma avrà ampiamente modo di rifarsi nel suo cinema successivo…                 Alessio Vacchi

Memorabilia. 7 SPADE DI VIOLENZA


Per restare in tema di cinema d'azione orientale, ecco il flano italiano di Redress, questo il titolo inglese, film edito anche nella serie "Kung fu" Fabbri. Negli anni 70 si importavano e distribuivano in sala molti titoli di questo genere. Ma per evitare che qualche esaltato imitasse gli atleti visti sullo schermo, ecco l'impagabile invito a non ripetere quanto si avrà imparato dal film; in ogni caso, la Fida ed il cinema Arlecchino se ne lavano le mani. "Enjoy responsibly", insomma.                      Alessio Vacchi

La youtubata. ALFONSO TOMAS


Inauguro questo spazio con un omaggio al caratterista Alfonso Tomas, delizioso rumorista che ha compiuto memorabili apparizioni in alcune nostre commedie. Cervellone elettronico in Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia, dottor Tomas che assume Lino Banfi in Vieni avanti cretino; ma anche ospite eccentrico a questo pasto di gala dal film …Continuavano a chiamarli: er Più, er Meno.                                                                             Alessio Vacchi