domenica 25 maggio 2008

Incompresi. Comici allo sbaraglio: ESCORIANDOLI



Nel caso in esame, “comico” è un nominativo che va chiarito, visto che ci occupiamo di un personaggio multiforme, non semplicemente un goliarda di provenienza televisiva ma autore-attore di palcoscenico, scrittore, personaggio tv ed anche regista. Antonio Rezza nel 1996 debutta nel lungometraggio con questo lavoro dal titolo già singolare, prodotto da un nome come Galliano Juso: nel suo curriculum, alcuni film con Tomas Milian-commissario Monnezza, W la foca! ma anche, in tempi più vicini, Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco.
Il film si compone di cinque episodi, collegati da personaggi-ponte. Curiosamente, Rezza ha scelto di farsi affiancare, in quattro delle cinque tranche, da una diversa attrice nostrana -sempre di aspetto gradevole-, salvo che nell’ultimo dove è “da solo”. Proviamo a riassumere il surreale contenuto degli episodi: nel primo, assistiamo alla veglia funebre di un tizio (“Ha ragionato sei ore consecutive” pare essere la causa), “capitanata” dal fratello e dalla vedova (Isabella Ferrari). Quando dalle labbra del morto prendono a fuoriuscire parole e concetti (“operaio”, “estasi del pecoreccio”), tra i due si scatena la passione. Rezza interpreta anche brevemente un becchino, vestito in modo “giovane”, che diventa protagonista del secondo episodio, in cui egli, aggirandosi per negozi appena aperti -che gli esercenti, dopo aver adulato i clienti con la parola d’ordine “cortesia”, fanno esplodere-, si imbatte in una donna (Valeria Golino) che vive con un marito pigrissimo. “Sei bello da far paura”: tra i due scoppia la passione, ma è in agguato un ribaltamento dei ruoli giovane attivo-vecchio inattivo. Nel terzo episodio, dal significato più esplicito, una ragazza mogia che non pare avere stimoli (Valentina Cervi) viene portata dai preoccupati familiari in una sorta di clinica in cui, con metodi bruschi, si cerca di far tornare alla normalità, alla “funzionalità” persone come lei. Ma ci sarà poco da fare: “Questa stronza è proprio una persona!”, esclama il capo -Rezza con una veste nera "femminile"-. Nel quarto episodio, forse il più accessibile, Rezza, affiancato da Claudia Gerini, impersona un tizio che rimane scioccato dall’aver pestato un piede sul bus ad un ciccione. “L’ho fatta proprio grossa”: lo ossessionerà nel tentativo di ricevere il suo perdono, facendo così incazzare sempre di più il malcapitato. L’ultimo episodio ha per protagonista un giornalista presenzialista che, all’improvviso, non riesce fisicamente più ad andare nei luoghi dove c’è la massa, a causa di un divario di intenzioni tra cervello e piedi.
Fermo restando che la risata è qualcosa di soggettivo -a chi non capita di rimanere di marmo di fronte a cose che gli altri trovano divertenti?-, se si supera l’impatto iniziale e ci si sintonizza nell’atmosfera del film, c’è di che divertirsi, in un modo originale.
A patto che si accettino le regole: la via di Rezza è quella dello straniamento, di un antinaturalismo netto. La recitazione sua e quella altrui non vanno nella direzione dell’immedesimazione coi personaggi, né questa è richiesta a chi guarda. Rezza piega il suo viso in una smorfia ed utilizza la voce, “stringendola”, nel suo peculiare modo, con piccole differenze tra un personaggio e l’altro. Sono previsti sguardi in camera e gli scambi di battute sono nonsense, volutamente declamatori e letterari. Non siamo all’interno di una narrazione classica, anche se la linearità è rispettata. Le ambientazioni sono spoglie negli interni e pure gli esterni si presentano isolati, con architetture industriali e presenze umane in scena ridotte a quelle che servono. Il che accentua una sensazione di desolazione ma anche la creazione di un universo filmico a sé. Degno di nota per esempio, nel quarto episodio, il bus che si finge essere in movimento, ma è fermo. Volendo cercare temi e motivi sparsi, a parte la seduzione, messa in scena come un burattinesco contorcimento (in 1°, 3° e 5° episodio), c’è il rapporto tra l’individuo ed una società dell’immagine, che richiede certe cose. Nell’episodio con la Cervi, lei deve essere forzatamente portata a provare interesse per quanto la circonda, a costo di diventare una persona che non contesta più, come il ragazzo “guarito”; al contrario l’anchorman vuole stare dove c’è la gente, ma soffre perché non riesce più. I finali dei singoli episodi non sono mai concilianti, i personaggi fanno spesso una brutta fine, che può essere la morte.
Una comicità che non è quella consueta cabarettistica di Zelig o simili, una strada poco praticata se non inedita per un cinema italiano umoristico. Non ci sono dialetti né ruffianerie, c’è invece una certa sgradevolezza; infatti, il pubblico non ha calcolato il film, che non ha avuto certo una distribuzione ottimale dopo la presentazione a Venezia, ma anche l’avesse avuta… Compatto stilisticamente e con battute folgoranti, Escoriandoli è un film geniale, da cui si esce con la rinfrancante sensazione di aver visto qualcosa di positivamente “alieno”-, ma purtroppo Rezza tenterà solo un’altra volta la via del lungometraggio, con Delitto sul Po, pellicola sperimentale ed anche più “sfigata” quanto ad accoglienza. Franca Scagnetti, nota per Suspiria, compare tra gli afflitti del primo episodio. Buone le musiche.                                         Alessio Vacchi

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