domenica 29 giugno 2008

In sala. ITALIAN DREAM


Sfidando il caldo afoso, chi scrive ha deciso di recarsi al cinema con un amico entusiasta a vedere un piccolo film italiano. Una pellicola che esce in sordina, in poche sale d’Italia, di quelle che la gente non conosce, condannate a priori quanto ad attenzione ed incassi. Il gesto non è motivato dalla voglia di andare in controtendenza (magari contro la contemporanea uscita del blockbuster italico Un’estate al mare), ma dalla curiosità riposta nell’uscita del nuovo lavoro, a dieci anni di distanza dal precedente, di Sandro Baldoni, di base pubblicitario, che come regista sceglie sempre la strada del surreale e del grottesco, innestati su una base realistica.
Protagonista di Italian dream è Antonio, un ometto padre di famiglia, col sogno di aprire un ristorante a Londra, il quale si vede perseguitato da Raniero, un corpulento tizio accompagnato da due indiani col turbante. Il secondo vuole farsi uccidere dal primo, adducendo motivazioni filosofiche ed un’inquietante corollario: dopo, morirà anche Antonio. In mezzo ci sono anche un’avvenente ragazza dell’est ed un colpo di scena.
Nel film si respira un’aria sgradevole ed un po’ svitata come negli altri di Baldoni, ma a parte bordate più propriamente surreali-satiriche, come il kit del disoccupato o voci fuori campo che annunciano finte bombe in metro, Italian dream prende corpo come una sorta di noir, certo venato di assurdo e continuamente smitizzato da un personaggio come quello interpretato da Ivano Marescotti, coi suoi nervosismi e le sue frasi smozzicate in emiliano. Nonostante qua e là si sorrida, raggiunto il climax (nel quale il film ricorda persino Saw, ma si prega di prendere questa associazione mentale con le pinze), il tutto viene ad avere il fiato corto, perdendo di interesse nell’ultima parte. Il discorso sulla vita con le sue possibilità è più semplice di quanto voglia sembrare, mentre la prestazione dell’attore-feticcio Ivano Marescotti, pur ghignante e simpatica, non lievita, rimane lì, macchiettistica.
Tuttavia, se il film è programmato nella città da cui leggete (e potete verificarlo sul sito ufficiale: http://www.italiandreamfilm.it/index.html), una chance concedetegliela, se non altro per visionare un film italiano bene o male fuori dai canoni, con una componente caustica e con un punto di vista che vuole andare oltre la “semplice” presa sul reale. Ed occhio ai maiali in colonna sonora.                   Alessio Vacchi

The freak show. PUMPKINHEAD


Parallelamente all’importante carriera negli effetti speciali (campo in cui è considerato tra i più grandi, avendo curato i trucchi di film come i tre Terminator), il recentemente scomparso Stan Winston era anche produttore (suo il recente & dignitoso Wrong turn) ed occasionalmente pure regista. L’ esordio dietro la macchina da presa avvenne nel 1988 con Pumpkinhead, un film dell’orrore col tempo divenuto cult in patria ma che risulta tutt’ora inedito nel nostro Paese.
Il protagonista della storia è Ed Harley (interpretato da Lance Henrisken, già visto in Aliens e Il Buio Si Avvicina, tra le altre cose), proprietario di un emporio in mezzo al nulla sui monti Appalachi a cui muore il figlioletto in un incidente involontariamente causato da un gruppo di ragazzi. 
Disperato, l’uomo si reca, ignorando gli avvertimenti contrari, da una vecchia strega che vive nella foresta, pregandola di riportare in vita il bambino, cosa che la megera si dice incapace di fare, convincendolo invece a vendicarsi dei responsabili della tragedia. Tramite un patto di sangue, la fattucchiera mette a disposizione di Ed un mostruoso demone (il “Pumpkinhead” del titolo – alla lettera, “testa di zucca”, ma non c’è nulla di comico nel suo aspetto) che, colpendoli uno alla volta, porterà le morte agli sventurati giovani. Ma, come ogni patto con il Male, la cosa si rivela un’arma a doppio taglio: ad ogni uccisione infatti Harley sperimenta l’agonia della vittima. Pentito, batterà in loro difesa, ma neanche la sua morte porrà freno alla maledizione.
La sceneggiatura di Mark Patrick Carducci (tristemente morto suicida nel 1997) e Gary Gerani è fondamentalmente una favola morale sulla futilità della vendetta. Per quanto la premessa sia accattivante e l’atmosfera a tratti funzioni, la storia procede in maniera poco fluida, dilungandosi anche più del dovuto e perdendo presto gran parte della sua originalità: nel secondo atto la storia diviene un elenco di situazioni già viste altrove, risollevandosi solo verso la fine, quando Harley si rende conto che il mostro sta lentamente assumendo le sue sembianze e viceversa. A dispetto della lunga esperienza sui set (prima ancora di lanciarsi negli effetti speciali, aveva anche brevemente tentato la carriera di attore), Winston dirige con poca ispirazione e, mentre gli attori (soprattutto lo scafato protagonista) grossomodo funzionano, il film visivamente è piuttosto piatto: le inquadrature sono poco varie e la fotografia di Bojan Bazelli, tutta fumogeni e raggi di luce, per quanto inizialmente intrigante, alla lunga stanca.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, di sangue ne scorre poco o nulla mentre gli effetti speciali della creatura sono ovviamente di alto livello: nonostante una certa somiglianza con gli esseri della saga di Alien, Pumpkinhead si contraddistingue per una sorprende espressività, resa tale dai prodigi della meccanica. Nella tuta del mostro recita Tom Woodruff JR, tecnico truccatore della scuderia di Winston, che assieme al collega Alec Gillis formerà alcuni anni dopo la Amalgamated Dynamics, compagnia di effetti speciali responsabile di film come i vari Alien VS Predator e Tremors. Woodruff in particolare, come creature performer, è il principale interprete del mostro di Alien a partire dal terzo capitolo. Tra gli effettisti figura anche Howard Berger, in seguito fondatore di un’altra importante compagnia del settore, la KNB Efx Group, assieme ai colleghi Robert Kurtzman (ora a capo di un’altra società, la Precinct 13 Entertainment, ed anche lui regista) e Gregory Nicotero (a sua volta allievo del guru dello splatter Tom Savini). Dopo un primo sequel, Pumpkinhead 2: Blood Wings, realizzato nel 1994 dallo specialista Jeff Burr (già responsabile del terzo Non Aprite Quella Porta – da non confondersi con il Night Killer di Claudio Fragasso), il franchise entrò in un lungo letargo, da cui si è risvegliato due anni fa con ben due nuovi titoli, pensati per l’home video, girati praticamente back-to-back e giunti anche da noi in DVD nonostante il buco distributivo degli episodi precedenti.                         Emiliano Ranzani

La youtubata. OMAGGIO A DINO RISI


Volendo ricordare Risi, piuttosto che scegliere I mostri o Il sorpasso, propongo alcuni minuti di Telefoni bianchi, film magari non all'altezza di altri ma divertente e cattivello -non è proprio la "cattiveria" a venire evidenziata quando si tratta di alcuni film da lui diretti?-. Nella galleria di casi umani maschili con cui la protagonista Agostina Belli viene a contatto, c'è anche un Renato Pozzetto gerarca fascista, diviso tra i piaceri della carne e la disciplina, tra lo sfoggio di virilità e l'infantilismo.           Alessio Vacchi

domenica 22 giugno 2008

The book runner. MUSICA PER I NOSTRI OCCHI


Ed. Bompiani, 2007. € 16,50.

...Storie e segreti del videoclip
. Domenico Liggeri, uomo di multiforme ingegno, autore tra l'altro del pregevole Mani di forbice sulla censura cinematografica italiana, è l'autore di questo tomone -oltre 800 pagine- sulla videomusica. Come ha affrontato il magmatico argomento? Dopo una introduzione che ragiona anche sul concetto di videoclip ed un delucidamento sui meccanismi di produzione-committenza dei videoclip, l'autore va grossomodo in ordine cronologico, cercando di tracciare una storia del connubio tra immagini in movimento e musica, o meglio di dare conto della varietà del mondo videomusicale, prima e dopo l'avvento del videoclip vero e proprio. Tra l'altro, dove collocarlo questo "evento"? La risposta non è facile e non è Bohemian rhapsody dei Queen, come viene spiegato. Vengono dedicati anche capitoli interi a tracciare videografie di molteplici registi, evidenziando talenti e segni di autorialità. Ad un certo punto, partendo dal 1981 che vede la nascita di Mtv, Liggeri dedica un capitolo ad ogni anno, mettendoci testimonianze di stampa e protagonisti dell'epoca ed evidenziando esordi registici degni di nota.
Sebbene comprabile, il libro ha sicuramente dei difetti. La mole di pagine appare, durante la lettura, non necessaria, perchè proponendo ampi stralci da cataloghi e testi nel tentativo di dar conto di atteggiamenti verso e tendenze del videoclip nel corso degli anni, si ripete spesso, zavorrando la lettura. Peccato perchè Liggeri scrive sciolto, in modo assai chiaro, ma sembra essere mancato un lavoro di lima, una revisione del tutto, che avrebbe sgrossato. Meno grave il fatto che l'autore, essendo dentro l'ambiente trattato, dica la sua, sovente sperticandosi in lodi e nell'uso del termine "capolavoro", lasciando qualche volta perplesso il lettore. A sua parziale discolpa, si può dire che il videoclip non è forse materia facile da trattare, data la grande quantità di oggetti prodotti in continuo, sebbene sia una forma creativa dall'età giovane (per come la conosciamo ora). La lettura del libro, oltre a dare spazio a realtà quali il cinebox ed il video laser karaoke, suggerisce una modalità “multimediale” di fruirlo: mettendosi davanti a youtube, approfittando della miriade di spunti che se ne possono trarre per scoprire opere meritevoli. Provando a tornare a ragionare sulle immagini e, nel caso, a goderne, al di là del bombardamento che se ne può avere tenendo la tv accesa su Mtv.                                       Alessio Vacchi

Memorabilia. POPCORN E PATATINE e FEBBRE D'AMORE


Il musicarello italiano è un genere forse più interessante preso in toto che non nei singoli esemplari, a causa della ripetitività e banalità che spesso presentano le "trame". Anche se, con un atteggiamento naif, ci si può divertire. Nel 1985 Nino d'Angelo è ancora bello attivo al cinema e nelle sale si poteva andare a vedere il suo Popcorn e patatine, commediola in cui è affiancato da Roberta Olivieri, habituè del suo cinema, e che ha un folle voto medio di 7,3 su Imdb. Un po’ servita su un piatto d'argento la considerazione che la frase di lancio somigli ad una minaccia. Uscendo dai confini italiani ma restando in quell'anno, ecco Febbre d'amore, che esce sfruttando la popolarità sanremese del "beniamino" ed "idolo dei ragazzi di oggi" Luis Miguel, giovanissimo cantante della hit "Noi ragazzi di oggi" (appunto), affiancato dalla cantante Lucerito (boh). Diretto dal trafficone Rene Cardona jr. e spacciato come suo primo film mentre ne aveva già girati due, si trova per le vie immaginabili. Curiosa l'immagine, che ritrae il cantante-ragazzino a mò di gigante Gulliver, con tante ragazze che gli salgono, letteralmente, addosso.                       Alessio Vacchi

La youtubata. THE CHILD


Il videoclip è un oggetto con una dignità artistica oppure semplicemente un prodotto industriale che deve promozionare un disco? La questione è annosa, ma come spesso accade la verità sta nel mezzo. Oltre a banali video danzati ci sono produzioni sostenute da idee visive rinfrancanti e non è facile sceglierne una. Propongo alla vostra cortese attenzione questo The child per Alex Gopher: videoclip narrativo animato in cui però, al posto delle cose, ne troviamo i nomi e le descrizioni. Un mondo reinventato, nel quale trionfano i segni grafici.           Alessio Vacchi

lunedì 9 giugno 2008

Comunicazioni di servizio. LO SGARRO


Questo è un breve aggiornamento che, sgarrando rispetto alla regola, avviene di lunedì invece che di domenica. Non era fisicamente possibile per me scrivere ieri. Sperando di non aver tradito la fiducia di nessuno e quindi di non finire come il tizio nel manifesto sopra. Continuate a visitarmi fiduciosi. Eventuali complimenti/critiche (magari senza insulti)/suggerimenti verranno letti.                   Alessio Vacchi

The freak show. MYSTICS IN BALI


Nonostante l’imperante, apparente palingenesi culturale mediata da Internet, esistono cinematografie poco esplorate dagli occidentali, salvo alcuni rari avventurieri della celluloide che coraggiosamente inseguono oscure pellicole per i quattro angoli del globo. Il cinema indonesiano (nel nostro caso addirittura Balinese) è uno di questi ed il film che ho in serbo per voi oggi è stato a lungo l’oggetto del desiderio di molti appassionati di pellicole weirdo, anche in virtù della sua difficile reperibilità in seguito al bando riportato nel suo paese natale: sto parlando “ovviamente” di Mystics In Bali, altrimenti conosciuto in patria come Leak e Mistik. Trattasi di un horror sovrannaturale girato nel 1981 da H. Tjut Djalil (aka Jalil Jackson & John Miller), sufficientemente prolifico regista di exploitation il cui successivo Pembalasan ratu pantai selatan (AD 1988) era giunto, tramite un riflusso del mare magnum dell’home video, anche nel nostro Paese con il titolo di Lady Terminator (tale VHS è oggigiorno di difficile reperibilità e costo esoso, nel caso foste interessati).
Il film (stando ai titoli di testa, basato sul romanzo Leak Ngakak di tal Putra Mada) prende spunto da un mito locale, quello del Leyak (pronunciato “Leak” appunto – la “y” è muta), una malefica entità che si manifesta come una testa volante (con tanto di interiora appese) dalla lunga lingua e dotata di un debole per le donne gravide ed i bambini piccoli. Protagonista delle storia è l’americana Cathy (interpretata dalla turista tedesca Ilona Agathe Bastian, “scoperta” appena sbarcata all’aereoporto – no, non me lo sto inventando), un’appassionata di esoterismo con già alle spalle uno studio sul Vodoo (erroneamente descritto come “la religione africana”, quando invece trattasi di sincretismo tra credenze africane e cristianesimo) decisa a scoprire i segreti della locale magia nera. Tramite un amico indigeno, la nostra riesce ad entrare in contatto con la “regina dei Leyak”, che, dopo averla inizialmente presa sotto la sua ala come apprendista, si servirà di lei (o meglio, della sua testa svolazzante) per i proprio malefici intenti. Ma l’amico indonesiano chiamerà in soccorso un potente stregone per combattere la malefica megera e salvare la donzella.
A livello estetico, la pellicola non è granchè: la regia di Djalil è piuttosto piatta e senza nessun particolare guizzo. Il ritmo latita a causa del montaggio stopposo e soprattutto degli interminabili dialoghi (il pur loquace babau yankee Freddy Krueger è nulla in confronto alla logorroica strega balinese), spesso ripetitivi e carichi di idiozie: considerando che la pellicola è palesemente ridoppiata, viene da chiedersi quali fossero le battute originali. La fotografia invece è abbastanza intrigante nelle scene notturne, accompagnate da una musichetta etnica ad hoc. Gli effetti ottici fanno sorridere anche i più profani in materia. Alcune scene, come quella in cui la protagonista e la sacerdotessa si trasformano in maiali, non sono malaccio. Spassosi i titoli di testa, sovrapposti a grottesche maschere che emergono dal buio.
Nonostante i difetti, Mystics in Bali ha dalla sua un certo fascino esotico agli occhi occidentali: tuttavia, similmente al nipponico The Ring, l’originalità della storia appassisce immediatamente se si pensa che in Asia abbondano le pellicole con fameliche teste volanti (uno su tutti, l’infausto calderone di idee e generi Master of the Flying Guillotine). A chi avverte già il bisogno impellente di vedere questo film, farà senz’altro piacere sapere che alcuni anni fa l’etichetta Mondo Macabro (sempre impegnata nello scovare grossi calibri di rarità) aveva reso il film ampiamente disponibile in DVD, edizione recentemente rivisitata con un nuovo master in Alta Definizione. A chi invece non frega niente, amen.                            Emiliano Ranzani

domenica 1 giugno 2008

In sala. Riflessioni su BE KIND REWIND


L’ultimo film di Michel Gondry denuncia qualche stanchezza; forse il regista francese perde qualcosa, mancando il supporto del trattare di sentimenti -oltre che lo sceneggiatore Charlie Kaufman-. Tuttavia, archiviando anche il solito doppiaggio, mi pare che Be kind rewind sia quantomeno interessante per il portato teorico che se ne può trarre, riguardo temi legati alla creazione e fruizione delle immagini in movimento.
Gondry sta tra un affetto, una nostalgia per il vintage ed un atteggiamento più propositivo. Ha un occhio di riguardo per le cose che rischiano di scomparire: in Eternal sunshine… era la sostanza immateriale dei ricordi, qua, più “nerdisticamente”, sono prima di tutto le vhs. La videoteca del film è un luogo di resistenza alla modernizzazione, baluardo di una diffusione del cinema con l’esclusivo tramite delle ormai obsolete videocassette; anche quando i protagonisti girano, utilizzano una videocamera vecchia, il cui supporto è quello.
Il film ci comunica presto che il posto è fortemente a rischio di sopravvivenza (così da poter simpatizzare di più coi simpatici cialtroni che lo gestiscono). I titoli su cui questo punta sono classici, o almeno film famosi. All’opposto, diretta concorrente del negozio -e di questa concezione, meglio, di questo modo di essere- è la videoteca di una catena: solo dvd, meno titoli ma in maggior numero di copie e “nessuna competenza specifica” da parte di chi è al banco, come viene detto in una esplicita frecciata. Curioso che Gondry “difenda” le videocassette e “ce l’abbia” con i dvd (penso anche al finto spot, in cui un’anziana dice di non saperlo usare) in un periodo in cui si sta facendo strada addirittura qualcosa in più del dvd, l’hd-dvd/blue-ray.
Il valore centrale che emerge dal film è quello della creatività; che però è destinata a venire a patti con la realtà. Lo Stephan di Science of sleep, con la sua Stephan-tv, si faceva “produttore” di sue immaginarie immagini (pardon) in movimento personali in cui si fondevano fantasia ed esperienza; i due videotecari del film prendono a produrre materialmente filmini-remakes, con pochissimi mezzi e tempi super-limitati, ma con ingegnosità. I loro cervelli lavorano alacri, proprio perché devono muoversi. La ricezione dei loro prodotti: se la clientela prima sembra scontrosetta (la Farrow, la ragazza maltrattata da Black), quando scopre questo “nuovo” cinema lo accoglie calorosamente, non solo: fa iniziare una produzione di film fatti su richiesta.
Finchè questa febbrile creatività, questo riutilizzo disinvolto di materiale già esistente, viene bloccata dai piani alti: vestiti eleganti -quindi contrapposti alle colorate divise dei videotecari/filmakers-, i rappresentanti delle majors fanno presente che tutto ciò non è accettabile. Sono “i nostri film”, si difendono i filmakers; no, è qualcosa di parassitario, di abusivo, sostengono gli altri. Questa offensiva degli “amministratori” della cultura porta ad uno stadio ulteriore: dal film su richiesta, passando per il film che coinvolge chi lo richiede, al film della comunità, girato con e per la gente.
Un’escalation partecipativa, che riflette, a suo modo, dinamiche in atto oggi: con youtube e le web tv si va verso una creazione e proposta di immagini in movimento proprie. Il fatto che la comunità reagisca molto positivamente alla proiezione (di un film girato con look old style, poi), conferma questo: come se il pubblico fosse disposto a vedere cose di qualità estetica minore, ma fatte da sé, o “col cuore”. Anche se va rilevato come il lieto fine sia parziale.
Nel mostrare le gesta dei protagonisti, si strizza poi l’occhio ad un certo grado di sovversività: il graffitare il muro all’inizio, il tentativo di sabotaggio alla centrale elettrica, l’irruzione notturna nel negozio rivale a suon di vetri rotti. Anche in un momento delle riprese, essendo non autorizzate, irrompe la polizia. Insomma, Gondry esprime non solo un’anima nostalgica/demodè, a cui va condotta anche la preferenza per i trucchi in scena, qui diegeticamente fatti compiere ai personaggi nelle loro sgangherate riprese, ma dice anche qualcosa su un aspetto dei tempi nostri.                           Alessio Vacchi

Memorabilia. IL CORVO


Dopo l'estate 1994 esce Il corvo. Film "maledetto" a priori, a causa della morte sul set del suo protagonista (oltre che per i toni estremamente dark), viene annunciato in questo flano puntando sulla eccezionalità ed indimenticabilità della visione: alla pellicola con questa minacciosa figura che "sta arrivando", viene già applicata una etichetta ("rock-horror") e ne viene data per scontata la sedimentazione nell'immaginario ("degli anni 2000"). Sembra una pisciata lunga, per dirla volgarmente, ma vista la particolarità dell'oggetto filmico, ci poteva stare e si è visto come non fosse così azzardata.                                   Alessio Vacchi

La youtubata. TOTO' per CAROSELLO


"Comunque, adesso mi faccio un bel brodo...": questo è uno dei caroselli girati da Totò per il dado Star, poco prima della scomparsa. Su youtube si trova (monco) anche quello con Totò cassiere alle prese con un rapinatore (filmato che ricorda il tentativo criminale di Memmo Carotenuto ne I soliti ignoti). Nelle sue scenette slegate dalla reclamizzazione del prodotto, Carosello ha offerto spazio ad attori come Franco e Ciccio e ad altri oggi molto meno noti, come Tino Scotti; senza contare le varie serie animate (Carmencita è stata riproposta a distanza di anni). Che questo possa darvi il là nell'esplorare questo desueto, ma accattivante, modo di fare pubblicità...                      Alessio Vacchi