domenica 26 aprile 2009

Comunicazioni di servizio. PAUSA

La prossima domenica il blog non verrà aggiornato, causa trasferta parigina di chi scrive. Ultimo spettacolo tornerà la domenica seguente, raccontando altre visioni dal GLBT Film Festival di Torino. Continuate a leggere il blog e non siate troppo timidi a proporvi come collaboratori.
A.V.

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 24, Torino, 23-30/4/2009. LA GABBIA


Italia 1985. Su dvd Emi.

Ultimo film per il cinema di Giuseppe Patroni Griffi, La gabbia porta tra gli sceneggiatori la firma di Lucio Fulci, che l'anno dopo firmerà una pellicola in parte simile, Il miele del diavolo: anche lì con una donna che segrega un uomo per motivi di vendetta e di sesso, sebbene i presupposti siano diversi. Il film si inserisce in anni fertili per il nostro cinema erotico: fertilità intesa più che altro come produttività, non per qualità di risultati. Michael, uomo sicuro e arrivato, partita l'amante riprende a frequentare una ragazza, ora donna, che aveva stuzzicato e sedotto in passato, e che abita sullo stesso piano. Ma lei ha intenzione di fargli pagare il non essersi più fatto vivo, così lo lega al letto. L'uomo seduttore viene messo sotto controllo dalla donna, per fargli provare un'esperienza che incida, come lui fece a lei -e li vediamo in flashback, dove però Michael-Tony Musante non sembra più giovane dell'oggi- : così, stavolta, non potrà scappare, nè dimenticarsi di lei. In casa c'è un elemento non del tutto controllabile, Jacqueline, la figlia di Marie.
Il film si lascia vedere per una certa forza della storia in sè, e per le attrici. Laura Antonelli, in uno dei suoi ultimi ruoli "sexy", si mostra in biancheria e fa vedere il seno in ombra, anche se nella scena in cui Musante la ri-seduce dopo anni, ci sono dei suoi primi piani estatici che sanno abbastanza di montaggio. Le giovani sorelle Blanca e Cristina Marsillach: la prima sarà proprio nel Miele del diavolo, la seconda è conturbante nella parte di Marie giovane. Mentre la Bolkan fa la donna austera ed è di fatto al di fuori di situazioni erotiche. Musante è ben scelto per il ruolo, ma risulta "molto" doppiato -mentre Bolkan e Antonelli usano la loro voce. L'ambientazione, in questi ben arredati interni borghesi abitati da gran borghesoni, raffredda e contiene la materia, rendendo il film un pò formale e "ingabbiato" (passatemi il termine). D'altronde, si tratta di un dramma da camera, e oltretutto di Patroni Griffi, regista definibile, in modo neutro, raffinato. Il bambino è insopportabile, ma si rivela utile narrativamente, per il rintracciamento di Michael. Un pò trash (passatemi anche questo termine) la scena in cui la Antonelli, arrabbiata, pasticcia viso e corpo del prigioniero con salmone e caviale, lasciandolo lì tutto sporco.
Uno dei lati più degni di nota del film è quello musicale, firmato Morricone. La pellicola si apre con una composizione ritmata ed aggressiva, sin eccessiva rispetto alle immagini che vediamo -tra cui carrellate su cibi del mercato...-. Ad accompagnare il flashback con la ragazza legata, ci sono invece note forti, dissonanti. Morricone e Patroni Griffi si autocitano brevemente facendo sentire registrato il tema di Metti, una sera a cena, mentre quello di questo film è ad un certo punto suonato diegeticamente, da Jacqueline, alla pianola. La sequenza pre-finale, in cui la Bolkan mette a posto i pezzi del puzzle, è commentata da un bailamme, da un assemblaggio di diverse composizioni dall'effetto volutamente sgradevole, caotico. Il finale è inaspettatamente sospeso, ed è un pò insoddisfacente. Tredici anni dopo il cinema italiano proporrà una nuova storia di uomini legati da una donna, ma con un tono meno serio: Barbara.
Alessio Vacchi

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 24. LEONI AL SOLE


Italia 1961.

Dalla sezione che dà carta bianca a Ferzan Ozpetek, questo primo film da regista del più noto come caratterista Vittorio Caprioli, è stato introdotto dal regista di origine turca e da una Franca Valeri dai ricordi ancora vivi: legati alla giovinezza di allora, al periodo in cui si univano questo esordio di Caprioli e la prima commedia teatrale di lei, alle riprese a Positano. Philippe Leroy, rimediato a Parigi, fu scritturato in quanto, con un buon doppiaggio, poteva essere credibile come napoletano, a causa della sua gestualità -e così è.
Leoni al sole si svolge nell'arco di un'estate sull'isola della Costiera Amalfitana. In scena un gruppo di uomini non più di primo pelo, che passano le giornate tra mare, commenti, tentativi con le donne. E' un film al maschile, ma fino a un certo punto: questi vitelloni/leoni si rendono conto del tempo che passa, e che mentre loro invecchiano le ragazze che pullulano nel film e sfilano loro davanti, sono sempre giovani (peccato che Caprioli abbia tenuto lunghissima, smorzandola, la scena di imbarazzo e sfida tra questi "leoni" e il ragazzo che viene loro incontro, insieme ad una fanciulla stupenda). La comunella scherzosa maschile estiva è qualcosa che conforta nel suo ripetersi, e che difende dal rapporto con l'altro sesso ("State sempre lì a far niente e le donne manco vi vedono" sono le esplicite parole di un personaggio femminile). Ma d'altro canto, anche il personaggio della Valeri vive delle incertezze sentimentali.
Il film affastella scene, anche brevi, spostandosi da un personaggio all'altro nella cornice dell'isola, non necessariamente per sviluppare una storia o più linee narrative, anzi alcune cose sono lasciate fuori dal narrato (l'episodio di impotenza, il cavamento dei denti della vecchia, la crociera di Leroy che all'inizio parrebbe coprotagonista, poi si rifà vivo nell'ultima parte), per tenere la scrittura più piana e sciolta. D'altronde di "storia", per alcuni personaggi, se ne dà poca. La scrittura dei dialoghi è stimabile, perchè brillante, anche se talora sa di copione. Chi funziona di più in scena sono Caprioli-Valeri-Leroy. L'attrice ha alcune uscite non male, per esempio nella scena dove è in bikini molestata dal bambino, o quando rifiuta un ballo perchè viene chiamato in causa il sesso.
Lo sguardo è morbido, ma non troppo assolutorio; registicamente si fa notare l'estrosa sequenza della soggettiva di una mosca, che vola dall'esterno all'interno di una cucina nel torpore estivo. Leoni al sole è definibile come un beach-movie un pò triste: anche se gli anni sono quelli di varie commediole spiaggiarole, qui le canzoni del momento non contano e si tratta di un film più maturo. Ma un pò datato e alla lunga stanco, senza molto da dire; Caprioli farà di meglio con le successive tre regie, a partire da quel Parigi o cara che avrebbe dovuto esser proiettato al posto di questo, ma è stato scartato perchè già proposto al festival.

Alessio Vacchi
Foto tratta da www.cineclandestino.it.

Io c'ero. Festival ed eventi vari. DA SODOMA A HOLLYWOOD 24. ADDIO FRATELLO CRUDELE


Italia 1971.

Giuseppe Patroni Griffi, a cui il festival dedica quest'anno una retrospettiva, è regista scarsamente considerato dalla critica. Però, ad esempio, Divina creatura con Laura Antonelli è un melodramma, ambientato durante il ventennio, con un suo perchè. Per questo film il discorso è diverso. Dal dramma Peccato che sia una puttana di John Ford (...non il regista americano), si narra, nella Mantova del Cinquecento, di un ragazzo, Giovanni (Oliver Tobias), profondamente innamorato, ricambiato, della sorella Annabella (Charlotte Rampling), e che non si dà pace nel vederla destinata a un arrogante signorotto, Soranzo (Fabio Testi). Finirà molto male.
Il plot in sè non è un problema: a Patroni Griffi evidentemente piacevano storie di sentimenti torbidi, e qui c'è ben un incesto. Però, a vederlo, il film lo si regge a stento. La messinscena è tutta giocata su un tono lirico. Il regista cerca costantemente la bellezza, la bella immagine -la fotografia è di Vittorio Storaro-, compresi i primi piani del "bel" Tobias, ma quello che ottiene è una decisa noia, tantopiù quando lascia alcune sequenze notevolmente lunghe, per esempio fratello e sorella che vanno a cavallo, o lui che fa la scenata a tavola verso la fine. Si abbandona mani e piedi a dialoghi che magari a teatro suonano accettabili, ma al cinema sono pesanti e declamatori, e non funzionano: alcune filippiche di Giovanni, per esempio quando matura la sua vendetta camminando tra le banderuole, o quando sta per commettere l'omicidio, non si possono sentire.
Sembra un pessimo film religioso di Zeffirelli. E infatti il personaggio del giovane incestuoso pare un Cristo martire: se non un pò per l'aspetto del viso con barba, si notino l'autopenitenza, nudo, a torcersi in fondo al pozzo, o ancora nudo nelle ultime immagini, portato in spalla, dopo esser stato ucciso. Charlotte Rampling, comunque, è incantevole (e mostra il petto, mentre per completezza Testi mostra le chiappe). E guai non ci fosse la musica di Morricone, di cui almeno il tema è bello, a trasmettere qualche emozione. Esplosione di trucidità nelle sequenze finali, imbrattate di sangue: qui Patroni Griffi azzecca una scelta registica, la carrellata a precedere la fuga disperata delle matrone che stanno per essere uccise dagli sgherri. E non è male un'altra carrellata che si vede prima, tenuta sulla nuca del frate che cammina cercando di non badare a Giovanni, che lo segue. Però si tratta di un film pesante, non facile, e qui non vuole essere un complimento. Si vede velocemente un amplesso tra cavalli: curioso questo modo con cui Soranzo cerca di smuovere la fredda moglie, e curioso come l'hard animale non cada sotto le forbici censorie. E attenzione perchè c'è un film hard con lo stesso titolo.
Alessio Vacchi

domenica 19 aprile 2009

Comunicazioni di servizio. DETOUR A RISCHIO


Il cineclub milanese Detour lancia un appello: rischia di chiudere, per la scadenza del contratto di affitto. Per conoscere e far sentire la propria solidarietà morale o economica ad un'importante luogo di cultura, http://www.cinedetour.it.
Alessio Vacchi

The book runner. DIZIONARIO DEI LUOGHI COMUNI


ed. Adelphi, € 12/ Rizzoli, € 4,90. Nel pezzo seguente si fa riferimento all'edizione Adelphi.

Recensire un libro di uno scrittore classico come Flaubert può sembrare presuntuoso o inutile, tantopiù in un contesto come questo blog, in cui la cultura "bassa" ha ampio spazio. Ma il volumetto in questione è una di quelle opere cartacee singolari che fa piacere segnalare. Oltre che sicuramente non tra le sue opere celebri. Il Dizionario dei luoghi comuni è una piccola opera incompiuta, che raccoglie un lavoro che doveva andare a confluire nell'ambizioso romanzo che Flaubert stava preparando prima di morire, Bouvard e Pécuchet, edito da Feltrinelli ed Einaudi. Scritto con Edmond Laporte, questo sciocchezzaio che dovrebbe provare la stupidità umana, raccolta di frasi fatte, di opinioni preconcette, pronte all'uso sugli argomenti più vari, doveva essere il punto d'approdo dell'attività dei due protagonisti del romanzo, copisti che dopo aver sudato sulle dottrine del loro tempo, decidono di limitarsi a copiare questa non-cultura.
La lettura non è sempre agevole: la distanza spaziale, temporale e culturale si fa sentire in un certo numero di voci che, se non si è dotti, richiedono la ricerca di nozioni per essere comprese. Per il resto, si coglie un senso dell'umorismo fulminante che è segno di un ingegno vivo e strappa risate: come scrive J. Rodolfo Wilcock nell'introduzione, si rileva "l'impossibilità materiale, per uno scrittore di valore, di ripetere o trascrivere una cretinata senza aggiungervi la sostanza del proprio valore". Flaubert percepiva evidentemente, con la sensibilità propria degli artisti, la cappa di banalità e risaputezze che stanno sopra le nostre teste. E' persino banale pensare che non sarebbe male un'opera analoga ai giorni nostri. L'autore dell'introduzione sostiene che siano decisamente più riuscite le definizioni scritte da Flaubert rispetto alle altre (segnalate graficamente nel testo), cosa che chi scrive francamente non riscontra. Al Dizionario seguono altri due stralci lasciati da Flaubert, più brevi: l'Album della marchesa e le due paginette del Catalogo delle idee chic, più simile al Dizionario. Ma per concludere, ecco alcune voci dal libro; non sia mai che vi servano per conversare.

"AGENTI DI BORSA Tutti ladri.

BANDIERA (nazionale). Fa battere il cuore solo a vederla.

CAMMELLO Ha due gobbe e il dromedario ne ha una sola. Oppure è il cammello che ha una gobba e il dromedario due (si fa confusione).

DIPLOMA Segno di sapere. Non dimostra niente.

ESTATE Sempre eccezionale (v.inverno).

INVERNO Sempre eccezionale (v.estate).

ITALIANI Tutti traditori. Tutti musicisti.

MEDICINA Farsene beffe quando si sta bene di salute.

NERVOSO Vien detto ogni volta che non si capisce niente di una malattia; la spiegazione soddisfa l'interlocutore.

OPERAIO Sempre onesto, quando non fa sommosse.

POETA Sinonimo di scemo; sognatore.

SELVA Definirla sempre "oscura" e "impenetrabile".

ZANZARA Più pericolosa di qualsiasi belva."

Nella foto, Gustave Flaubert.
Alessio Vacchi

La youtubata. ANDAVAMO AL CINEMA


Un viaggetto indietro nel tempo con questo Andiamo al cinema d'epoca. Incorniciato da un'amena sigletta animata, si propone agli spettatori italiani Astronauti per forza (1962), commedia con Bing Crosby e Bob Hope (ma si riconosce anche Peter Sellers), definiti senza mezzi termini "la coppia più esilarante del cinema mondiale". D'altronde a una voce così perentoria e impostata, come si usava, si poteva credere facilmente.
Alessio Vacchi

domenica 12 aprile 2009

Incompresi. Comici allo sbaraglio: UN AMORE SU MISURA


Italia 2007. Su dvd Sony.

Pozzetto, a differenza di altri attori comici di successo degli anni Ottanta come Abatantuono, Banfi o Calà, è sfuggito al revival recente di remake-sequel, pur avendo riproposto l'accoppiata con Cochi Ponzoni. Dopo un decennio di assenza dal cinema, torna con questo progetto, da un romanzo di Vittorino Andreoli e in collaborazione con José Maria Sanchez che l'aveva già diretto in Burro e Mollo tutto. Ma Sanchez muore, così Pozzetto si sobbarca anche la regia. L'attore promoziona il film nel contemporaneo show tv con Cochi, Stiamo lavorando per noi, ma il flop arriva prevedibile. L'ingegner Olmi, che è stato lasciato dalla moglie (Anna Galiena), viene agganciato da un uomo legato alla multinazionale Yono-Cho, che gli propone un esperimento: creare per lui, in laboratorio, la sua donna ideale. Questo supervisore lo porta a visitare l'azienda -con inquietanti uomini artificiali senza testa che fanno cyclette- e il risultato è che si porta a casa, dentro un voluminoso pacco, la donna perfetta, la bellissima modella svedese Camilla Sjoberg, che entra in scena mostrando subito il seno rifatto -seguiranno scorci di nudo-.
E' agevole il richiamo a Io e Caterina, di e con Sordi: anche lì, un borghese alle prese con una donna tecnologica, che è il sogno del maschio ma rivela anche dei lati negativi. La narrazione è punteggiata dalle apparizioni dell'ex moglie, che l'ingegnere vede ovunque, anche nel frigorifero, a rimproverarlo. E' piuttosto telefonato il dove si andrà a parare: meglio una donna vera e viva come lei, che una perfetta ma innaturale. Elettra, composta di una fibra equivalente alla pelle umana, è progettata come voleva Olmi e gli rende la felicità perduta: non invecchia, è sempre disponibile, ma ad un certo punto lui si accorge inquieto che è incapace di essere gelosa, neppure se lui torna a casa con addosso segni di tradimento. Da qui la sua richiesta di apportarle delle modifiche: il modo in cui vengono apportate è ignoto, dato che vediamo semplicemente il supervisore smanettare sul portatile. D'altronde non è Gattaca e l'high-tech nel film è trattato in modo altalenante. Prima Olmi la vuole impegnata, che lavora; ma così gli sfugge di mano, e si trova a soffrire e far richieste abnormi. Colpisce psicologicamente la scena in cui il supervisore gli comunica che han deciso di sospendere l'esperimento, quindi di riprendersi la donna, che torna ad essere, anzi è sempre stata, un loro prodotto di industria. Il dilemma avrà una risoluzione "in nero", di un improvviso che è sul filo del ridicolo, prima dell'anticipato happy end.
Il vecchio compare Cochi Ponzoni fa la parte di un suo ristoratore di fiducia, gay, legato a Renato Scarpa. Se quest'ultimo è più macchiettistico, Cochi dà vita ad almeno una scena simpatica, quella in cui, truccato pesantamente da donna, ne approfitta per baciare Pozzetto -ma non si equivochi, l' omosessualità non è trattata in modo volgare. Purtroppo è anche uno dei pochi momenti divertenti di un film senile, fiacco e noioso, con un Pozzetto da cui, fermo restando l'età e la pesantezza fisica, farebbe piacere qualcosa in più. Gli va dato atto un certo mettersi in gioco, per esempio verso l'inizio quando si spoglia e "amoreggia" con la donna inscatolata, e il non far finta di essere ancora giovane. Certo che il premio come miglior attore al festival della commedia di Montecarlo... Le gradevoli musiche sono firmate dall'importante musicista e produttore (Negramaro tra gli altri) Corrado Rustici.
Alessio Vacchi

Memorabilia. E' ARRIVATO MIO FRATELLO


Flano curioso per questo classico di Pozzetto del 1985. L'attore viene paragonato a un famoso trapano, e si invitano gli spettatori a non ridere troppo forte, per non coprire le battute. Ridere civilmente, insomma.
Alessio Vacchi

domenica 5 aprile 2009

Focus on. Chuck Norris: MISSING IN ACTION


Tit. or.: Missing in action 2-The Beginning. Usa 1985. Di Lance Hool. Su dvd Stormovie.
Warning: il seguente pezzo contiene anticipazioni sulla trama e sul finale che possono compromettere la visione a chi non conosce il film ed intende vederlo.

Con la sagacia che spesso mostrano i titolisti italiani, se il precedente Missing in action è diventato da noi Rombo di tuono, questo da noi diventa Missing in action. Ma c'è un problema a monte: il film suona come una variazione sul tema Chuck Norris + soldati dispersi in Vietnam, ma in realtà avrebbe dovuto essere distribuito prima di Rombo di tuono, raccontando una vicenda in cui proprio il colonnello Braddock è ancora in Vietnam ed è tra i "missing in action". I film inizia già lì: nel prologo lo vediamo gettarsi dall'elicottero coi suoi sottoposti per evitare di schiantarsi, condannandosi così a rimanere tra le frasche vietnamite. Fanno sorridere, nella loro pesantezza, i fermi immagine degli sventurati su cui si stampa un grosso timbro "Missing in action". Come immaginabile, c'è un odioso colonnello "muso giallo" che li tiene prigionieri. Il film cerca una legittimizzazione con tocchi seri, con vere immagini di una cerimonia commemorativa americana per soldati caduti là, e Reagan che dice qualcosa sui dispersi nel conflitto. Un altro nucleino tematico è costituito dal personaggio del nero "traditore" che si è adattato a collaborare coi nemici, e che cerca di convincere gli altri come l'America li abbia abbandonati. Meglio piegarsi e tradire la patria, ma poter tornare a casa, o no? Per volere del colonnello, uno svogliato Chuck dovrà battersi con lui. Ma alla fine il personaggio si ribellerà e troverà una morte eroica. Un altro traditore-collaborazionista è il tizio in elicottero che fornisce le prostitute al campo e che vuole vedere eliminati i MIA. E va citato lo sfortunato reporter che, sgamato, bluffa molto coraggiosamente coi militari dicendo di far parte di un'operazione di salvataggio pronta ad agire; ma non essendo gli altri fessi, dura poco.
Chuck, che pure non ricordiamo come un campione di diritti umani, ricorda al colonnello Yin che esiste la convenzione di Ginevra, ma l'altro non li ritiene prigionieri di guerra, e nel primo discorsetto che fa loro pare uno che stia dettando le regole del gioco, ricordando che sono circondati da trappole varie e fuggire è impossibile. Così Braddock, sporco e spettinato, deve fare i lavori forzati e sopportare soprusi e capricci, anche di un grosso buzzurro semimuto che ricorda quello visto in Triade chiama Canale 6. Yin più volte gli mette sotto gli occhi una confessione da firmare per ottenere la libertà, ma l'altro ovviamente rifiuta, nonostante Yin faccia leva sugli affetti familiari -la moglie che si sarebbe risposata. La firmerà solo a causa di un inganno: il colonnello accetta di aiutare un prigioniero affetto da malaria con un'iniezione in cambio della firma, ma in realtà gli ha iniettato dell'oppio e poi, tanto per gradire, gli dà fuoco. E' troppo, è ora di agire: Braddock evade da solo e riesce ad arrivare a munizioni e a cambiarsi d'abito, assumendo un aspetto un pò più guerresco -con fascia, ovviamente. Brucia persone e cose col lanciafiamme -con qualche rozzezza di montaggio-, fa saltare in aria quel che può di nascosto e corre e si nasconde tra le frasche, cercando poi di raccattare i suoi soldati. Piuttosto significativi gli ultimi minuti: sembra quasi tutto a posto, ma Chuck, prima di salire sull'elicottero, torna indietro perchè deve sfidare il colonnello Yin, all'interno di un capanno già mezzo distrutto, rispettando il climax del suo cinema che vuole una sfida finale. Lo stesso Yin glielo teorizza esplicitamente: "Now is the time, you and I.... to see who is the better man". Dopo averlo ben lardato, Chuck chiude il film con uno dei suoi momenti più superomistici quando, con assoluta calma, lo fa saltare in aria insieme al capanno. Da segnalare sicuramente anche una tortura horror che Chuck subisce precedentemente, quando, appeso a testa in giù, gli viene applicato al volto un sacco con un topo vivo, che però lui uccide coi denti.
Non per abdicare ad un punto di vista "critico", ma che dire di un film come questo? Che sia bello, come fa un utente sulla pagina di Imdb, non è il caso, ma dire che sia orrendo significherebbe infierire ingiustamente. E' quanto ci si può aspettare, un film d'azione guerresca norrisiano, rozzamente ancorato ad un tema reale. Se si "accettano le regole" intrattiene, ma se si sceglie di occupare il tempo altrimenti non si va biasimati.
Alessio Vacchi

Memorabilia. SOGNANDO LA CALIFORNIA


Il cinepanettone e, più in generale, la commedia vanziniana sono gli esempi di massimo scollamento tra scelte del pubblico e gusti della critica. Ma non sempre e non di tutta la critica. Per questo film del 1992, il flano sbandiera l'opinione del decano Tullio Kezich, che affermerebbe di aver riso "tutto il tempo". Il che magari è un pò eccessivo, ma tutto fa brodo e fa segnare una tappa nell'atteggiamento critico verso i famigerati fratelli. E non sarà comunque l'ultima volta che Kezich difenderà film di questo tipo. Dal canto suo Mereghetti, nel suo dizionario, riporta: "Non varrebbe la pena dedicargli tanto spazio, se il 90 per cento della critica italiana non avesse deciso che ormai -basta coi pregiudizi ideologici!- è ora di rivalutare anche i Vanzina".
Alessio Vacchi