A.V.
domenica 31 gennaio 2010
Memorabilia. STRADE PERDUTE
A.V.
domenica 24 gennaio 2010
Memorabilia. LA POLIZIOTTA A NEW YORK
In sala. AVATAR
Scrivere di Avatar mette un pò in imbarazzo. Si tratta di un film effettivamente atteso, oltre che molto pompato, a cui il pubblico, come ampiamente prevedibile, sta dando il suo consenso (in Italia siamo per ora sui 21 milioni di euro), manifestato addirittura con applausi. Atteso anche perchè è il ritorno alla regia di un lungometraggio di un autore che ha segnato l'immaginario degli anni 80 e 90. Ma toccherà essere anticonformisti e sinceri. Avatar è un film francamente deludente. Non si nega il passo in avanti nell'utilizzo del 3D, che finchè il cervello non vi si abitua è d'effetto: il mondo di Pandora vi è ritratto con cura, viene voglia di scansarne le frasche e le capocce dei soldati in riunione sembra di averle disposte davanti a sè. Ma non si dovrebbe temere di passare per criticoni/intellettuali se si rileva quel che è evidente subito sotto l'aspetto tridimensionale e già durante la visione, cioè che la storia è debole, banale, stereotipata, già vista. Un uomo chiamato cavallo, Balla coi lupi, Pocahontas, Jurassic Park sono i primi titoli richiamati alla mente. Qualcuno se ne è accorto e ha parlato di archetipi, di semplicità, ma purtroppo è qualcosa in meno: è banalità, è elementarità. Il film che dovrebbe segnare una nuova era, un nuovo cinema ecc. è un blockbuster più bambinizzato del solito. E guarda un pò, durante la visione sorge la noia: perchè l'interesse verso la storia sullo schermo diventa nullo, se tutto quello che accade è preventivabile e se i personaggi sono figure grazie al 3D, ma figurine quanto a spessore. Per quanto sia affascinante la mobilità in modo particolare della figura femminile di Neytiri (che quando si arrabbia perchè tradita, recita come una qualunque atticetta americana), l'empatia verso quel che accade è a livello di un fumetto e non di quelli buoni. In un film di 2 ore e 40 minuti, non può bastare il vedere i diversi piani spaziali in rilievo, se il resto è così carente. Per fortuna nell'ultima parte si combatte (è pur sempre un film di Cameron), anche se la violenza di plastica da blockbuster PG-13 non aiuta.
Cascano le braccia in certi dialoghi, in certe situazioni (il primo colloquio tra la donnina blu e il soldato, con lei che lo rimprovera e lui che fa lo stupidino, e poi viene ricoperto di quelle medusette; l'omaccione blu che si avventa contro il protagonista quando lo ritiene responsabile di quanto accaduto). Il doppiaggio ci mette del suo, anche il personaggio di Norm è doppiato in modo molto debole, ma non è tra i problemi primari. Insomma, non è badare al pelo nell'uovo il notare che in Avatar c'è tanto 3D, ma non c'è anima. Certo, c'è una storia (elementare), c'è un discorso, forte e paraculo insieme, politico pro-altre culture, per esaltare lo spettatore nel segno del politicamente corretto: ma il film è contenutisticamente piatto, racconta quel che racconta, fa vedere quel che fa vedere, punto. La ricchezza del testo? Le seconde letture? Possono anche esserci, e alcuni critici lo dimostrano, ma sono cose sviscerabili con fatica, capziose e decisamente post-visione. Parlare di "classicità" è superficiale: il cinema "classico" è mai stato così povero internamente?
Cosa resta del film, dopo la visione? Quasi nulla, la mente si sforza a ricordarne immagini, sequenze. Già per questo motivo, per chi scrive, il film è purtroppo un fallimento. Al di là delle immagini spettacolarmente ricercate o di scatafascio, ci sono due immagini forse più fini: i Na'vi che si guardano attorno disperati e piangenti dopo la prima distruzione del loro mondo, e Neytiri che prende in braccio amorevolmente il protagonista, dopo la lotta finale. Ma in esse, l'importanza del 3D è marginale. Ahia. Ma allora dove sta l'"epocalità" del film?
Se non stupisce l'apprezzamento del pubblico (influenza del marketing, efficacia spettacolare del 3D; o davvero si trova coinvolto dalla storia?), per la critica il discorso è diverso. Una critica cinematografica che dà un "10", ideale o nero su bianco, ad Avatar è una critica che pare aver perso la bussola, la misura e la ragione d'essere, non per una questione ideologica di "sparare sul blockbuster"; a cosa serve una critica che resta pure lei incantata dietro gli occhialini, per poi certificare la grandezza di un film-evento spettacolare fuori ma palesemente "moscio" dentro? O forse si teme di non essere abbastanza al passo coi tempi e in sintonia con la gente? Se Avatar è grande, grandissimo cinema, cosa significa grande cinema? E i veri grandi film, cosa sono? Se Avatar, che alla fine della fiera è una lunga fiabetta abbastanza bella da vedere, dovrebbe cambiare il cinema e segnare una strada, viene da inneggiare al passatismo, o al limite al classicismo (quello vero). Si capisce come Cameron abbia puntato tutto sulla tecnologia, non è da oggi che ne è interessato e poi, tecnologia (semi)nuova ma vecchia storia: pompando un film come è stato fatto per Avatar, l'importanza che sia un film di spessore è superflua. Però, peccato.
Alessio Vacchi
domenica 17 gennaio 2010
Incompresi. NERO
Italia 1992. Su dvd Ripley (dal 19 gennaio).
E' un film consciamente sopra le righe, a cominciare dai personaggi di primo e secondo piano, con un'atmosfera pesante, oppressiva (il fullscreen con cui Nero circola, contribuisce). Le luci sono calde, in vista, oppure c'è un inquietante buio. La regia di Soldi è presente, virtuosistica, con molti primi piani di Castellitto ma anche soggettive, movimenti a 360 gradi ecc., come a cercare così un'intensità e uno stile... cultizzabile (vedi dopo). Sicuramente rispetto al film precedente c'è un miglioramento e una qualche chiarezza di idee; anche se di sugo non ce n'è molto e a voler calcar la mano si tratta di un cazzeggio consapevole, almeno intrattiene.
Il protagonista è sempre più invischiato in un vortice di omicidi, costretto a ripetere i suoi gesti in un gioco al rilancio fumettistico, anche forzato, in cui non si vede via d'uscita. Alla fine, dal paradosso si giunge al nonsense: il che non aiuta, non che ci si potesse aspettare una quadratura delle cose, dato l'andazzo, ma dato che già "l'elemento che innesca la storia è assolutamente pretestuoso, ma tutti gli snodi della trama sono fondamentalmente privi di interesse. Tutto il plot è semplicemente un grimaldello per esplorare immagini o situazioni surreali..."*, la sensazione è quella di un divertissment macabro fine a sè stesso. Il Morandini scrive: "Spiffera l'antipatia un po' arrogante dell'intellettuale cinefilo che vuol darla a bere al popolo bue". Il Mereghetti: "con un'aria di prodotto pensato a tavolino per essere cult a tutti i costi, che dà sui nervi". In effetti l'etichetta "cult" è facilmente appiccicabile su Nero, ma senza connotazioni qualitative, solo per cinefili che si accontentano del "bizzarro". Venendo alla pars costruens, bisogna dire comunque che un paio di scene da brivido ci sono: l'incubo a occhi aperti di Castellitto alle prese con la mano sbucante dalla valigia e il soprassalto di vita dell'investigatore. E pure il cast c'è: Luis Molteni è straordinario in questo ruolo di sgradevole detective-delinquente, Castellitto, sulle cui spalle il film è in buona parte affidato, è bravo e si impegna, la Caselli è simpatica. In più c'è uno dei rari camei di Hugo Pratt, nel ruolo di un commissario straniero.
Alessio Vacchi
* http://rojking.altervista.org/soldi.htm
La youtubata. 2 TESTE SENZA CERVELLO
A.V.
domenica 3 gennaio 2010
Focus on. Chuck Norris: BRADDOCK: MISSING IN ACTION III
Usa 1988. Su dvd Mgm (regione 1).
Al colonello Braddock non è bastato farsi valere nella "sporca guerra" con ben due film: un motivo per tornare a far fuori musi gialli a dozzine si trova. Pazienza se la storia entra in contraddizione temporale coi Missing in Action precedenti, che vedevano il protagonista tenuto a lungo prigioniero dai nemici. Il prologo ci porta ai giorni della caduta di Saigon, con la popolazione che sciama per le strade, vandalizzando vetrine e auto ('sti incivili!), e si accalca ai cancelli americani nella speranza di venire evacuata in elicottero. Un Norris dall'espressione seria si aggira cercando la moglie con cui vuole partire, ma un equivoco gliela fa credere carbonizzata. Una dozzina di anni dopo, un missionario venuto dal Vietnam trova Braddock in un bar che non sa che cazzo fare. La moglie e il figlio avuto nel frattempo, sono vivi!, gli comunica. Dopo un'iniziale incredulità, torna sui luoghi del passato, mettendosi immediatamente contro la Cia, che lo segue fino a Bangkok, ma Chuck la leva di mezzo in un inseguimento e ci regala a rigaurdo la battuta più maschia del film, rivolta proprio a un capoccia della Cia, che lo ha avvertito, "don't step on toes": "I don't step on toes, Littlejohn, I step on necks" è la risposta. Giunto in Vietnam ritrova la moglie imbruttita dalla povertà e il ragazzino figlio suo, ma dopo il tempo dei sentimentalismi arriva quello del sadismo. Braddock infatti trova un nuovo-vecchio nemico personale in un altro mellifluo e perfido generale vietnamita, che gli vuole far pagare quanto ha fatto in guerra e dopo aver sparato la donna, lo sottopone a una tortura non indegna di Saw -tirato su a polsi legati, se tocca terra coi talloni il gesto farà partire un colpo in testa al ragazzino-. Ma nonostante la cattiveria Quoc è più macchietta del solito, tanto che lo vediamo urlare "Braddooock!!" quando si arrabbia dopo qualche "malefatta" dell'americano.
Il fatto che la guerra sia bella che finita è ormai chiaro che conta niente, perchè quel che tocca a Braddock è sempre simile, in una coazione a ripetere che è condizione per far rivivere il personaggio. Infatti, poco più avanti, farà irruzione nel campo di prigionia dove Quoc ha deportato il missionario con tutti i suoi fanciulli, liberandoli girando su sè stesso e distribuendo colpi di fuoco. Dopo essere fuggiti ed avere peregrinato nella giungla, Chuck fa spostare il suo truppone rimediando un velivolo, e qui giungiamo all'epilogo, che tocca vertici di patriottismo, esagerazione e revanscismo da rilevare. Braddock deve far passare i suoi protetti su un ponticello che collega l'ultimo avamposto viet al confine thailandese. Che i due stati in realtà non confinino sono inezie per Chuck, e d'altronde con 'sti musi gialli non è che si possano fare tanti sofismi. Braddock fa fuori i soldati del presidio, praticamente azzerando quel che rimaneva dell'esercito nemico, poi si ritrova abbracciato al figlio sotto il tiro del generale cattivo in elicottero, ma l'intervento dell'esercito Usa mette fuori gioco Quoc. Dunque, tra i bimbi che sciamano e l'esercito Usa che viene avanti festoso al ralenti, finalmente può ripartire la stucchevole canzone dell'inizio.
Se questo film non esattamente diplomatico ha un pregio, è che nonostante le parentesi sentimentali e da amico dei bambini di Norris, per il resto si perde in poche chiacchere puntando dritto all'azione e divertendo epidermicamente. Imdb segnala che Aaron Norris, fratello di Chuck, esordisce qui alla regia dopo incomprensioni tra l'attore e Joseph Zito: pensare Zito come autore scomodo fa francamente stupore. Didascalia finale "civile" che ricorda gli ancora numerosi bambini dispersi in Vietnam.
Alessio Vacchi
La youtubata. NATALE D'AMORE
A.V.