lunedì 10 dicembre 2012

Comunicazioni di servizio. AGGIORNAMENTO TFF


Signore e signori, ecco a voi un estemporaneo aggiornamento del blog con alcune recensioni dall'ultimo Torino Film Festival. E' snello e non comprende alcuni dei film più belli visti quest'anno (il vincitore ShellCouleur du peau: miel, Tabu: segnateveli, il primo e il secondo anche se non siete cinefili) che hanno lasciato meno tracce sui miei appunti, nella bulimia delle visioni di quei giorni. Poco professionale, vero. Prendetelo com'è. E un'avvertenza: possono contenere spoiler.
A.V.

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL, 23/11-1/12/2012. CITADEL


Irlanda/UK 2012.
Se è vero che il cinema del terrore dà voce alle paure che la società si porta dietro, certamente Citadel non fa eccezione. Dal regista irlandese Ciaran Foy una pellicola dove le fobie del mondo contemporaneo vengono messe a nudo in uno script asservito alle esigenze delle produzioni mainstream ma non per questo privo d’efficacia. Fra palazzoni fatiscenti, famiglie proletarie che vivono in condizioni d’indigenza, feroci squatters assassini si muove l’allucinato protagonista, un giovane vedovo costretto a badare a un figlio ancora in fasce e a combattere le proprie ansie interiori (soffre di un’acuta forma di agorafobia da quando ha assistito all’uccisione della moglie) e un pericolo esterno che tutti giudicano l’ennesimo parto della sua fantasia malata ma che lui sa essere fin troppo reale… grazie a un’improbabile alleanza con un prete cattolico e un bambino cieco, il tremebondo papà troverà il coraggio di affrontare le proprie paure e vincerle.
Pur eccedendo talvolta in metafore Citadel è un horror dotato di un certo mordente, sospeso com’è fra le atrocità purulente del cinema mutante di Dadid Cronenberg (gli omaggi a Brood sono plaesi) e il taglio neorealista con cui viene filmata una dimensione urbana degradata e in procinto di disgregarsi, dove il rischio di pungersi con una siringa infetta o finire sfrattati con tutta la famiglia rappresentano un orrore reale e l’inevitabile antefatto per la genesi di una covata di mostri la cui natura parassitaria lascia pochi dubbi sull’intento simbolista dal sapore decisamente romeriano (l’Apocalisse è già in marcia perché la società è infetta di suo). Riprendendo le atmosfere da incubo metropolitano della letteratura splatter-punk anni 80 (ma senza calcare troppo la mano sugli effettacci) Foy dirige con mano sicura, trovando il giusto equilibrio fra la trama e i pugni nello stomaco e lasciando intravedere un talento nel raccontare favole nere che ci auguriamo dia i suoi frutti per altri progetti a venire.
Corrado Artale
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=h9mfDiYIY6E

domenica 9 dicembre 2012

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL, 23/11-1/12/2012. THE LIABILITY


UK 2012. Di Craig Viveiros.
Un ragazzo un po' fesso, Adam, che vive col patrigno malavitoso (Ray Winstone) e la sua amante, viene da lui spedito a fare da autista ed... aiutante ad un killer sulla via del ritiro (Tim Roth). Questa strana coppia -il contrasto di caratteri tra la goffa estroversione del giovane e la serietà laconica del killer è giocata soprattutto verso l'inizio- si imbatte in una ragazza che darà loro filo da torcere, modificando i piani e anche i rapporti tra i personaggi. C'è di mezzo la ricerca della verità su un giro di ragazze scomparse, mentre il ragazzo giungerà ad una sorta di maturazione.
Impasto di noir, black comedy (soprattutto), un po' pulp, con aperture crepuscolari, The Liability si lascia ben vedere, anche se è un po' al di sotto delle possibili aspettative e non si capisce bene perché inserirlo in concorso. E non per pregiudizio antigeneri: l'anno scorso l'estremo The Raid era stata una bella scelta. La regia sostanzialmente c'è, buona la sequenza del macchinoso scambio tra borsa e denaro nel parcheggio, anche se in un paio di casi la messinscena della violenza non funziona, con colpi tra i personaggi palesemente creati dal montaggio, il che toglie forza. Anche e soprattutto sulla definizione di alcuni dei personaggi, sopra le righe, c'è qualcosa da ridire: se la ragazza (una Talulah Riley attraente in modo imbarazzante) passa da comune malcapitata a giustiziera sexy, il patrigno, che parte stronzo, alla fine pare diventare un Satanasso duro a morire. Simpatica però la performance di Jack O'Connell-Adam, col suo inglese marcatissimo a base di “u” che diventano “o”.
Bei brani in colonna sonora, compresa una sorpresa iniziale italiana. O mi volete dire che non conoscete Una rotunda del mare, come è citata sui titoli di coda?
Alessio Vacchi
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=t_jk3MBoQ-Y

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. NO


Cile/USA/Messico 2012. In uscita prossimamente per Bolero Film.
Cile, 1988. A causa delle pressioni internazionali, il regime di Pinochet indice un referendum per essere confermato o meno e concede una parte degli spazi di propaganda al “no”. Un giovane pubblicitario, René Saavedra (Garcia Bernal), accetta di seguire la campagna antiregime che, è storia, contribuirà alla destituzione del generale.
Dopo un dittico folgorante e sempre più direzionato verso un nero pece, Larraín cambia registro, pur restando ancorato geo-cronologicamente a quella nazione entro un dato periodo storico e si conferma regista prezioso e attento. No è un film di docufiction che sorprende anche come impostazione visiva, girato in una “bassa definizione” affinché ci sia continuità tra i veri spot mostrati e le immagini di finzione, con una luce che talora inonda la macchina, zoom, in un 4:3 che a volte sembra una vhs pan&scannata.
Saavedra capisce, grazie alla sua formazione professionale, che la libertà dev'essere venduta sotto una confezione attraente, come fosse un prodotto di altro tipo. E questo è difficile da far capire agli oppositori al regime, che comprensibilmente vorrebbero approfittare della boccata d'aria concessa per non tacere più sulla mole di violenza e morte che gli anni di Pinochet hanno costituito. “E' brutto”, “Non si vende”, “E' una lagna”, sono tra i commenti di Saavedra di fronte a spot esteticamente sgradevoli, troppo seri (che ricordano le nostre vecchie Pubblicità Progresso) ed a registrazioni di discorsi civili. Il film fa entrare in questi meccanismi di persuasione e consenso su un tema rovente. Agghiaccianti alcuni spot del “sì”: il marxista che resta tale anche “in abito di seta”, i bambini cileni più sani e forti. Ne vediamo alcuni che parodizzano trovate e messinscena di quelli del “no” oppure che li smontano, disonestamente, svelando il loro ovvio essere degli spot (es.: il tal personaggio di donna povera è interpretato da un'attrice). Ma il “no”, oltre ad azzeccare una campagna più accattivante, con una canzone dal ritornello pervasivo (che si ricorda dopo la visione: cercate su youtube), si appella a principi generici e positivi, quindi difficili da combattere. C'è anche un accenno al merchandising delle due fazioni (che chiamata alle urne sarebbe se no?).
Il regime sarebbe ben lieto di mettere le mani addosso ai sostenitori del “no”, come sapeva fare, ma si limita a minacce e dispersioni di cortei. E alla fine gioca pulito, ammettendo la sconfitta. In questo modo anche il cinema di Larrain finalmente giunge a toccare l'alba di un paese meno oscuro. E il risultato è un film tutto sommato fresco, in cui si respira speranza.
Rispetto allo scenario di Tony Manero e Post Mortem, qui sembra di essere in un paradiso, ma Larrain è sempre impareggiabile nel mettere in scena la pratica della paura istituzionale e il senso di incertezza verso il presente ed il futuro (si veda, ad esempio, il panico prima dei risultati). Un film stimolante per il cervello, molto interessante e, novità per Larrain, in cui qualche volta si ride; realistico, quotidiano, persino intimo qualche volta, nella messinscena dei rapporti tra i personaggi, del loro relazionarsi e comunicare. La ricostruzione e le facce sono credibili. Larraín indugia e integra bene gli autentici spot dell'epoca, a cui film deve, ovviamente, parte della sua riuscita e di cui mostra ricostruite riprese e backstage.
Una delle poche riserve riguarda la scelta dell'attore protagonista: Bernal è un uomo di bell'aspetto che non si può dire sfiguri, ma sembra perlopiù un bambolotto che si guardi attorno, e non è solo colpa sua. Sembra un po' una testa d'ariete per dare più appiglio internazionale al film. Meglio l'attore feticcio del regista, Alfredo Castro, sempre bravo nel suo understatement, nei panni del mellifluo capo dell'agenzia pubblicitaria, uomo vicino al regime che accetta, ad un certo punto, di seguire la campagna del “sì” e che ha un rapporto indefinibile col suo dipendente: cerca di lisciarlo, poi lo minaccia, subito dopo conduce un “briefing” insieme a lui... Abbastanza inutili le immagini dal set, sui titoli di coda, con la troupe che chiacchiera, scherza e sbuccia arance.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=L43ZTdVozLQ

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. COMPLIANCE


USA 2012. Di Craig Zobel.
Becky è una ragazza che lavora in un fast food, insieme ad altri, alle dipendenze di Sandra, capo un po' rompiballe ma umano. Sembra una giornata di lavoro quasi ordinaria, ma Sandra riceve una telefonata da un sedicente agente di polizia: Becky è una ladra, ha sottratto dei soldi ad una cliente nel fast food, c'è una testimonianza che la inchioda. Quindi va trattenuta e perquisita, in attesa che arrivi una volante. Che non giungerà mai, perché all'altro capo del telefono c'è un uomo in vena di uno scherzo lungo e pesante, non il primo. E per la ragazza è l'inizio dello scivolare in un incubo. L'uomo infatti, con modi sicuri, anche se le istruzioni sono discutibili, cerca di coinvolgere più persone possibili nell'umiliazione ai danni di Becky. Anche maschi, di cui cerca di stimolare il voyeurismo, mettendo loro di fronte ed alla sua/loro mercé una ragazza nuda. Finché qualcuno non mangia la foglia. E l'ultima parte del film cerca di dare qualche risposta a come sia stato possibile.
Vengono in mente alcune cose, vedendo questo “piccolo” film efficace, che mette a disagio, presentato nella sezione Rapporto Confidenziale che quest'anno si è orientata verso horror/thriller sulle angosce contemporanee (più o meno). Una è che poteva andare peggio. Un'altra è che ci vorrebbe poco da parte dei personaggi per interrompere quanto avviene, uno scatto di orgoglio, di buon senso, un ragionare in più. E invece quasi tutti sono, come prevedibile, proni a seguire ciò che dice loro di fare una presunta autorità. Inquieta ma non stupisce che il film sia ispirato (quasi fedelmente, a quanto ha affermato, presentandolo, Pat Healy, che interpreta il “maniaco”) a una serie di fatti realmente accaduti. Perché ciò che succede in Compliance è sì assurdo, ma plausibile ed evidentemente non solo a livello teorico. Non solo ci potrebbe riguardare (Becky), ma ci riguarda (Sandra e gli altri aguzzini, o quasi, per interposta persona).
Accompagnato da una parca colonna sonora di archi, girato in uno scope con qualche inquadratura ricercata (volti ai margini), intervallato da immagini “arty” di desolazione urbana, qualche piano sequenza tirato (forse un po' incongruo), inquadrature di cibo che bolle e della clientela nel fast food, ignara di quanto sta accadendo a pochi metri da loro, dove il film convince meno e cala è, paradossalmente, nel climax di ciò che succede alla ragazza. La scelta di alcune ellissi quando si arriva al sesso rende anche meno convincente il suo comportamento, il suo piegarsi ormai a ciò che si vuole fare di lei, sebbene ne sia poi accennata una spiegazione a parole. E per dirla tutta, lo spettatore maschile qualche volta è portato ad altri pensieri dal bel corpo di Dreama Walker, che fa Becky.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=tVSn2Y4EzcM
A.V.

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. BLANCANIEVES


Spagna/Francia 2012. Di Pablo Berger.
Carmen è una bambina figlia del famoso torero Antonio Villalta che, rimasto vedovo, si risposa con Encarna, donna calcolatrice, tra i personaggi più cattivi forse mai apparsi sul grande schermo (incarnata da Maribel Verdú, vista al festival anche in Fin). La piccola, alla morte della nonna, va ad abitare nella magione della coppia, per essere relegata a sguattera da Encarna e scoprire che la donna tiene Antonio segregato in una stanza, in attesa di farlo fuori per diventare ricca vedova senza rimpianti, mentre si intrattiene con un amante graduato. Scampata al tentativo di uccidere pure lei e persa la memoria, Carmen viene raccolta da una compagnia di nani girovaghi toreador. Con loro riprenderà l'arte della tauromachia, e diventata una prestigiosa torera, incontrerà il suo destino nell'arena insieme alla matrigna.
Dopo The Artist, un altro film muto contemporaneo, che infatti il regista e sceneggiatore è riuscito a “montare” solo dopo il successo del film francese. L'impressione è che chi non aveva amato quello non amerà neppure questo, e viceversa. Berger (e il suo montatore Franco) mostrano un'assoluta sicurezza nel narrare questa storia per immagini. Le inquadrature e la loro ricchezza sono da cinema moderno, la morbidità generale no. Il ritmo è elevato anche se il tono è spesso un poco troppo bamboleggiante, tra un sorrisone e l'altro della bella Carmen. Anche qui abbiamo un personaggio di animale simpatico, un gallo, che pur non facendo una bella fine sa di componente “alla” The Artist.
E' una vicenda ambientata nel passato, ma non sembra esattamente un omaggio ad un'epoca cinematografica, a meno che non basti, per definire il film così, la scelta di girarlo muto. O almeno, non lo è direttamente. Più che altro questa pare un modo, attualmente e probabilmente in modo effimero quasi di moda, di raccontare una storia, con le immagini a far da padrone. Può darsi che a qualcuno in più venga in mente che c'è una fetta di storia del cinema fatta “così”, di cui è possibile vedere i film anche ora senza patemi. Definirlo “bellissimo” o “capolavoro” (parola che ormai non si nega più a nulla), come è stato fatto, pare facile, definirlo “inutile”, dall'altra parte, altrettanto. Piacevole, lo è di certo. Ecco, magari l'inquadratura col padre che vigila dal cielo poteva essere risparmiata; la chiusura, invece, non è scontata.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=Z8QPtjNIb6A

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. V/H/S


USA 2012. Di Adam Wingard, David Bruckner, Ti West, Glenn McQuaid, Joe Swanberg, Radio Silence.
Chi si rivede, l'horror a episodi. Non è l'unico nell'aria attualmente: The ABC's of Death, P.O.E. Project of Evil.... Peccato che la cosa migliore di questo V/H/S rischia di essere il manifesto, con le coste delle videocassette che formano un teschio.
La cornice è costituita dalle immagini di alcuni tizi che entrano in una casa per sottrarre una vhs. La casa è vuota, a parte un ciccione morto su una poltrona con davanti una tv accesa e svariati nastri. Qualcuno viene mandato in play e così noi vediamo i vari episodi. Il film inizia e dopo i primi minuti ci si mal dispone e ci si chiede: sarà tutto così? E' il trionfo di un cinema che se ne frega dell'estetica, con una camera a mano mai ferma, riprese sgraziate, effetti video e repentini salti spaziotemporali. Per fortuna no, non è proprio tutto così: il secondo episodio, per esempio, è girato in modo molto più pulito.
Il primo episodio, in pov con l'espediente di essere ripreso dagli occhiali-camera di un personaggio, vede alcuni ragazzi andare in discoteca e rimorchiare alcune pulzelle. Una di queste ha palesemente dei problemi, dato che si limita a ripetere “I like you” sgranando gli occhi. I maschi se le portano in appartamento per cercare di concludere, ma, sorpresa, la stramba si trasforma in un mostro assassino. Forse la cosa più affascinante è il finale su cui repentinamente si chiude.
Il secondo vede una coppia in viaggio in luna di miele tallonata da una figura femminile che di notte si introduce pure in camera loro (sequenza che, di per sé, funziona). C'è del potenziale -l'intruso mette in crisi sicurezza e fiducia della coppia- ma tempo di ipotizzarlo e il segmento si chiude con un colpo di scena brutale.
Il terzo mostra un gruppo di ragazzi che, in gita al laghetto fra le frasche, sono destinati a cadere sotto i colpi dell'assassino che notoriamente infesta il luogo, una presenza umana ubiqua e visualizzata come una sorta di rumorosa mandria di pixel, come fosse un difetto del sistema. Non esaltante, con uno sventramento che, come di prammatica, include l'estirpamento di un po' di intestino (non sarebbe ora di cambiare organo?).
Il quarto è forse il migliore e si distingue un po', anche se più per la concezione che per i risultati. Via webcam, una ragazza informa un amico-potenziale amante della presenza infantile che si manifesta talora in casa sua. E che, senza spoilerare, non compare per caso, così come lui non la sta conttattando casualmente. L'episodio è considerabile come una lettura di genere che cerca di infondere inquietudine in una pratica di oggi, come le comunicazioni via webcam.
L'ultimo episodio mostra alcuni ragazzi (cresciuti) recarsi ad una festa in una villa che (again) sembra vuota ma non solo cela persone intente in un rituale, ma si rivela pure “stregata”, in un crescendo caotico. E' il segmento meno violento, con elementi horror vecchio stile, che la butta sul paranormale ma il tutto, buttato così e con quella tecnica, non funziona granché.
Lasciando stare questioni di credibilità e di linguaggio (il riversamento su nastro di certe cose è espediente che va accettato come improbabile ed è chiaro che dev'esserci un'entità superiore che unisce tutto per darcelo come film), in definitiva V/H/S fa fatica ad incidere anche se qua e là può dare brividi -ma man mano, calando l'interesse, calano anch'essi-. A volte si ha l'impressione di assistere al dispiegarsi di pratiche di genere che, tra apparizioni e arti spezzati, diventa ripetitività, quando non prevedibilità (cosa succederà mai ai tizi nella cornice narrativa?); non sembra mostrare un buono stato di salute del genere e (per quanto può valere) non farà cambiare idea a chi non lo apprezza. Da un lato non ha molto da dire, dall'altro, a volte, quando ce l'ha, lo accenna soltanto. Ed è disseminato di personaggi iperparolacciari e giovani cazzoni che fanno un po' rimpiangere, rimanendo alle visioni festivaliere, l'horror adulto del Rob Zombie di The Lords of Salem.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=axravRclWqk

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. FIN


Spagna 2012. Di Jorge Torregrossa.
Un gruppo di amici si ritrova dopo anni per una permanenza insieme in una baita. La notte, l'elettricità scompare, le auto non partono, i cellulari non parliamone. Isolati, il giorno dopo si spostano, ma non trovano altre presenze umane. Solo, occasionalmente, animali. Il problema che si pone ai personaggi non è il come sopravvivere, ma la progressiva, sistematica, misteriosa scomparsa nel nulla di componenti del gruppo. Questo mentre sotto la superficie di una agognata reimpatriata sono affiorate menzogne, solitudini, insofferenze, e soprattutto un segreto del passato legato ad un loro amico un po' ripudiato che ora è apparentemente assente ma aveva previsto tutto. Infatti, ha predetto e disegnato questa fine del mondo vista proprio dai protagonisti.
Film apocalittico dal trattamento drammatico, con giusto un paio di effetti speciali (o quasi), Fin vuole focalizzarsi sui suoi personaggi, posti in una situazione estrema ed, appunto, terminale. Come se l'apocalisse fosse l'enorme correlativo oggettivo di ciò che intercorre tra essi, come se l'infelicità, l'insicerità li portasse a spegnersi. In tal senso, è paradossale chi si salverà (forse), chi il film ritiene meritevole di continuare, essendo anch'essi personaggi che abbiamo scoperto condurre una messinscena. Però belli, giovani (più o meno) e non antipatici, se non altro.
Il problema è che una volta che si capisce l'antifona, ovvero che i nostri amici svaniranno uno alla volta, il film non riesce ad aggiungere qualcosa di davvero significativo. E scorre abbastanza piano, includendo quasi alla fine una scena inaspettata che però non sposta in su il risultato. Dopo di essa, nei dialoghi, un tentativo di filosofeggiare sulla vita (esistiamo solo per chi ci guarda e chi ci vuole bene, dice un personaggio. Viviamo e scompariamo, quel che conta è il mentre, sostiene l'altro). E' un film fatto di poco, come si suol dire, ma senza che questo si traduca in caratteristica positiva. Provaci ancora, Torregrossa (che comunque è riuscito a farsi distribuire dalla Sony spagnola). O forse no, boh.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=rnzJGepWXi0

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. MANIAC


USA/Francia 2012. Di Franck Khalfoun.
Il giovane Frank (Elijah Wood: altro che Frodo) è un assassino di donne: dopo averle tampinate, usa far loro lo scalpo per appiccicarlo ad alcuni manichini provienenti dal suo negozio, componendo un harem fittizio e odorante morte che talora immagina composto da persone vere. Nel suo passato, come prevedibile, una madre indegna, pippatrice e donna facile. Nella sua vita compare una bella fotografa, Anna, interessata a usare i suoi manichini (quelli “sani”). I due iniziano a frequentarsi, mentre lui prova qualcosa per lei, la sente e vede diversamente dalle altre, non ennesima vittima ma donna decisiva. Inutile dire che non potrà accadere nulla di idilliaco tra i due e le cose precipiteranno.
Maniac era un film atteso e temuto dai seguaci del genere, per il suo essere remake di un cult “underground” del 1980 dallo stesso titolo -e il cui regista, William Lustig, figura qui tra i produttori- e per la scelta dell'attore protagonista con la sua faccia e aria un po' imberbe, ma che supera l'esame con piena sufficienza.
Il film fa una scelta di messinscena forte e pseudo-rigorosa: il nostro punto di vista è quello del protagonista, in soggettiva. Una soggettiva che qualche volta si rompe, per motivi di chiarezza o per scelte estetiche, di chiusura di sequenze. Ad esempio, l'inquadratura su Frank dopo l'omicidio della ballerina e più avanti, analogamente, durante quello della signora, lui che si ripensa insieme ad Anna in riva al laghetto, lui ragazzino che guarda la madre in vena di lascività. In questa modalità di regia, l'inquadratura più buffa arriva quando Frank si sciacqua il viso, gettando dell'acqua in camera. E' un film abbastanza forte anche grazie al suo essere in pov, ma non un incubo senza fine per chi guarda. Ciò che fa respirare di più lo spettatore è infatti la linea narrativa con la presenza di Anna, l'ipotetica salvatrice dell'assassino a cui chiaramente è concesso più spazio delle altre donne del film. D'impatto l'inizio e buona la concitata lotta a casa di Anna. Difetti (non grossi) che si possono imputare al film sono qualche sottolineatura di troppo (i già citati flashback dei due, il manichino di Frank bambino) ed accumuli horror (il tizio che improbabilmente si rialza dopo una mannaiata, l'incidente).
Conclusione, in un climax malato, con una sequenza di allucinazione gore. Curata la scelta dei brani in colonna sonora, anche se ormai si fa prima a notare un film in cui non lo sia.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=BPdzB1oGifw

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. PAVILION


Usa 2012. Di Tim Sutton.
Premio speciale della giuria (ex-aequo con Noi non siamo come James Bond), Pavilion è un film che lascia masticanti un po' di amaro. Perché da un lato è più o meno quello che si poteva ipotizzare essere, dall'altro... poteva pure essere meglio. Sullo schermo, le giornate estive di alcuni adolescenti, tra biciclettate, skatate e camminate nei boschi, osservati da un punto di vista registico molto laterale rispetto a quanto va in scena, con una trama assai lassa. Si sarà intuito che siamo dalle parti di alcuni film di Gus Van Sant, da cui “Pavilion” è molto derivativo. Se vi sono piaciuti Elephant o Paranoid Park (che comunque sono film con un altro mordente), è pane per i vostri denti, o perlomeno vi troverete bene durante la visione; altrimenti si rischia di odiarlo.
Alcune inquadrature sono belle, e il film ad un certo punto sembra creare una qualche atmosfera da “estate come periodo magico e irripetibile-libertà dell'essere giovani-fase che si chiude”. Come suggerirebbe la linea narrativa del ragazzo che si trasferisce, e che però nell'ultima parte è agilmente sostituito da un altro. I personaggi infatti non sono approfonditi, consapevolmente e sono trattati un po' come un mucchio. Sono mostrati in quello che fanno, in gruppo o in momenti di solitudine, agganciandosi alla loro quotidianità, senza una storia forte che li muova. La musica è parca, con un bel motivo sognante che torna ogni tanto. Però poi il film finisce, dopo un'ora e dieci circa e un certo senso di insoddisfazione c'è. Oltre che, a conti fatti, un sospetto di furbizia nell'aver trattato certi temi con un certo stile, per un cinema che sfoggia immagini insolite e può suscitare consenso e meraviglia, ma facendo troppo riferimento a un padre nobile che su queste cose ha già dato e meglio.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=e2glgEVIB9M

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. A LIAR'S AUTOBIOGRAPHY-THE UNTRUE STORY OF MONTY PYTHON'S GRAHAM CHAPMAN 3D


UK 2012. Di Bill Jones, Jeff Simpson, Ben Timlett.
Come avrebbe voluto essere ricordato Graham Chapman, componente dei Monty Python scomparso nel 1989? Senza riverenze e senza buon gusto, come sostenuto alla sua commemorazione funebre, di cui sono mostrate alcune immagini sui titoli di coda.
Scritto e diretto da tre registi che hanno coordinato il lavoro di differenti studi di animazione, è stato una delle visioni più ilari del festival. La storia “non vera” di Chapman è ispirata alla sua autobiografia ed è assolutamente non convenzionale e non facile da riassumere, dato il suo mescolare fantasie ed elementi di realtà in modo dissacrante, compresi vertiginosi (anche letteralmente: si prende e si va in cielo) passaggi tra “realtà” e immaginazione all'interno di questa pseudo realtà. Un elemento isolabile è l'omosessualità di Chapman, il suo coming out e la relazione duratura con un uomo. Il suo viaggio personale nella sessualità prima della presa di coscienza di essere gay è visualizzato come un viaggio a bordo di una vetturina a forma di genitali maschili su rotaie.
Il tutto è raccontato con diversi stili animati, a cominciare dalle figure bidimensionali con sopra le vere teste dei Monty Python, proseguendo con pupazzotti 3D, giungendo a una buona sequenza di incubo (relativa alla disintossicazione dall'alcool) con i tratti che riempiono le figure che si muovono incessanti. Nel complesso, è un melange che tiene e i cambi si notano realmente giusto all'inizio.
Premesso che chi scrive conosce poco i Python, l'impressione è di un film non rivolto necessariamente ai fans (sebbene si sia riconosciuta almeno una strizzata d'occhio lampo: un barattolo di carne Spam), ma forse a chi ha un sense of humour sbrigliato. La disinibizione la fa da padrona, tra sesso e riferimenti all'eiaculazione. Ed è un'ora e mezza di montagne russe, in cui la genialità si alterna a passaggi più a vuoto. Programmaticamente sovraccarico (in modo non così difforme da certa animazione mainstream), caotico, qualche volta insulso (le scimmie?) e pesante (la canzoncina finale che fa un elenco di tutte le malattie più repulsive). Lucidamente è difficile dirne male, ma è bene riconoscerne i limiti.
Cameron Diaz dà la voce a Sigmund Freud, protagonista di una parentesi, con un inglese molto accentato. La voce di Chapman, invece, è stata elaborata da nastri da lui registrati.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=dbW842eMNtI

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. NOI NON SIAMO COME JAMES BOND


Italia 2012. Di Mario Balsamo. 
Mario Balsamo e Guido Gabrielli sono due amici di lunga data. Rievocano una loro vacanza, ripercorrono tappe del loro passato. Scambiano riflessioni, parlano di loro. E soprattutto di malattia. Perché Guido è sopravvissuto a una leucemia che lo ha cambiato e visibilmente smagrito, mentre Mario è stato operato per un tumore ad una gamba che gli dà ancora delle conseguenze. Lo spunto è la riflessione che dà il titolo al film: se Bond rappresenta la vita “come dovrebbe essere”, loro due, tra guai con la salute e un numero di donne limitato, ne sono agli antipodi. E Mario pensa sia il caso di chiederne conto proprio a Sean Connery, che prova a rintracciare al telefono, nella sua residenza alle Bahamas, lungo il film.
Vincitore del premio speciale della giuria (ex-aequo con Pavilion), Noi non siamo come James Bond è un documentario-autoanalisi e la storia di un'amicizia, ed include un inaspettato passaggio di metacinema, quando i due rivedono il film fino a dove si è arrivati e Guido si arrabbia perché la camera è rimasta accesa anche quando aveva chiesto che non lo fosse. “Ma è vita...”, risponde l'amico.
Se magari le premesse non sono delle più invitanti e il risultato potrà comunque essere odiato a morte da chi giudica i film italiani col metro del “può piacere/non può piacere all'estero”, il film non ci mette molto a stabilire una certa confidenza con lo spettatore. Perché la naturalezza, la sincerità con cui i due si mettono di fronte alla macchina da presa, un profondo senso di umanità, sono palpabili. Si avverte l'affetto di Mario verso Guido, persona che dice cose intelligenti anche se, in quanto personali, non sempre immediate, mentre è fatta capire la singletudine di Mario.
Scontata, comunque, la riflessione che sorge dopo l'attesa telefonata a Connery, che liquida fermo e gentile: anche i miti nascondono persone che invecchiano. In compenso, i due pranzano con Daniela Bianchi (che si presenta ancora bene) in carne e ossa. Non è grande cinema, ma qualcosa dentro la trasmette, in mezzo ai (e con i) sorrisi.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=MkkbfRlwcTI

Io c'ero. Festival ed eventi vari. 30 TORINO FILM FESTIVAL. CRAZY & THIEF


Usa 2011.
Crazy e Thief sono i nomi fittizi di una bambina sui 7 anni e del suo fratello più piccolo, sui 2 (opportunamente sottotitolato). In giro per la città, in libertà, seguono una presunta carta celeste cercando ogni tipo di raffigurazione di stella. Incontrano un ragazzo con un occhio solo ed un uomo che tenta invano di farli riportare a casa. Ma i due pensano di avere ancora qualcosa da compiere: cercare una macchina del tempo, con sopra la stella di Betlemme... che poi è Bethlehem, in Pennsylvania.
Presentato nella sezione Onde, Crazy & Thief è diretto da Cory McAbee, che fa “recitare” i due figli (non per la prima volta) e firma anche la colonna sonora -bella, grintosa- col suo gruppo The Billy Nayer Show. E' un lavoro che suscita qualche tenerezza ma risulta meglio a raccontarlo, o meglio a ricordarlo, che non a vederlo. Strutturato in capitoletti con titoli dai riferimenti talora “epici” (come "Ciclope"), ci mostra la fantasiosa libera uscita di due infanti che si muovono in un mondo adulto, senza che quasi nessun adulto gliene chieda conto né altre figure umane entrino in ballo, esplorandolo e interpretandolo tutto a modo loro. Parafrasando il regista, si tratta di un percorso di ricerca impossibile e di scoperta basato su informazioni parziali o errate, come è accaduto nella storia e come, appunto, accade nell'infanzia. I tempi morti e le ripetizioni fanno parte del gioco, per tenere un approccio non da cinema tradizionale, così come una camera sgraziata, che va fuori fuoco.
Ma le premesse, pur trattandosi di un lungo gioco infantile, sono un po' astruse e pretestuose e la tenuta del tutto è un po' labile. Il film è parzialmente improvvisato e si sente talora la mano di qualcuno che guidi questi bambini nel succedersi delle cose che fanno: inevitabile forse, ma non funziona perfettamente, anche se i due bambini sono indubbiamente simpatici, specie lei.
A.V.
Il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=aFYB5hKzKV8